In Parlamento sarà discussa la riforma sull’anagrafe tributaria, il cui obiettivo è la creazione di un archivio degli atti notarili contro il riciclaggio. Nel 2022 cambia anche l’anagrafe immobiliare: si va verso la creazione di una banca dati che raccolga, tutte insieme, le informazioni catastali e quelle delle proprietà immobiliari.
In questo modo, le amministrazioni regionali e soprattutto locali potranno essere a conoscenza, in maniera più snella, di tutti i dati urbanistici dei residenti. È questa la proposta inoltrata al Senato dalla bicamerale sulla vigilanza dell’Anagrafe tributaria. Qualora andasse in porto, con la nuova banca dati si potranno mettere le basi per la nuova riforma del catasto proposta dal Governo nella legge delega che si sta discutendo in Senato. La proposta attualmente è uno dei tanti fattori di divisione tra le varie forze politiche.
Si vuole cercare di dare la possibilità di aumentare gli accessi sia ai Comuni che alle compagnie di assicurazione così come la gestione del contenzioso fiscale e l’accesso alle sentenze che disciplinano gli accertamenti dell’amministrazione finanziaria. La commissione di vigilanza vorrebbe introdurre una banca dati centralizzata che abbia finalità antiriciclaggio dove far confluire i dati di tutti gli atti notarili per evitare che si possano stipulare più atti con soggetti diversi finalizzati alla realizzazione di operazioni di riciclaggio.
La politica vorrebbe realizzare anche altri interventi quali, ad esempio, introdurre l’intelligenza artificiale per automatizzare le procedure degli atti di accertamento del Fisco. Senatori e deputati non vorrebbero, però, utilizzarla come strumento autonomo decisorio fondato sul machine learning e l’esclusione totale dell’uomo. Verrebbe meno, di fatto, l’attività manuale e fisica di un funzionario, quindi anche una possibile contrazione dell’impiego di alcuni dipendenti dell’Agenzia delle Entrate. È proprio questa situazione che si vuole evitare.
Ad accedere alle banche dati statali potrebbero essere gli stessi Comuni, che oggi sono costretti a chiedere “permesso” al Garante della privacy.