«Rivoluzionaria professionale», l’autobiografia della storica dirigente comunista, è stata appena pubblicata in Iran (giusto l’8 marzo). Parla la traduttrice, Farideh Guerman
Leggere serve a imparare a vivere, e dalla storia di una donna si possono trarre insegnamenti di vita. In questo caso si tratta dell’autobiografia di Teresa Noce Rivoluzionaria professionale, pubblicata in Italia nel 1974 e riedita più volte (l’ultima nel 2003), e uscita a Teheran pochi giorni fa, l’8 marzo 2016. A curare l’edizione e a tradurla in persiano è stata Farideh Guerman, una professoressa di architettura dall’aria dolcissima. Parlare con lei è come vedere due mondi che si incontrano. Lo dice lei stessa: «Ho studiato a Roma architettura, e ho vissuto diversi anni qui, e da allora per me è stato molto importante tornare, e poi rientrare nella mia terra, e poi ancora ritornare. Non voglio perdere il contatto con il mondo occidentale». Quando le si chiede se si è in qualche modo rivista in questa grande donna, risponde che non ci aveva mai pensato, però «è vero, il punto che abbiamo in comune è lottare, mai smettere di lottare per ciò in cui si crede». Ma Teresa Noce, aggiunge, «era molto più forte di me». Quello che più l’ha colpita di questa rivoluzionaria è «la convinzione in ciò che diceva e faceva; pensava con la sua testa, non era sotto l’influenza del marito o di altri. Era sicura di sé». Nell’autobiografia c’è una frase emblematica: «Le donne per conquistare l’emancipazione come donne e lavoratrici, per prima cosa dovevano imparare a dire di no: dire di no ai maestri e ai genitori, dire di no ai padroni, dire di no al marito, dire di no ai compagni quando si era convinte di aver ragione. Bisognava battersi per le proprie opinioni, difenderle contro tutti, e smettere di pensare che gli uomini, compagni o dirigenti, solo perché tali o di un gradino più in alto nella gerarchia, avessero sempre ragione». «Una donna eccezionale – continua Farideh – generosa, ha sempre lottato nella vita, una vera rivoluzionaria contro il fascismo, sincera con tutti i suoi compagni, li aiutava in qualsiasi momento avessero bisogno. E una grande lavoratrice sin dall’età di sei anni, ma ha dedicato la sua vita all’umanità, non solo alla classe operaia. Ha contribuito alla emancipazione femminile, nei diversi momenti storici che ha attraversato». Teresa Noce, che divenne moglie di Luigi Longo nonostante, dicevano i suoceri, fosse «brutta, povera e comunista», fu fra i fondatori del partito comunista nel 1921, organizzò il lavoro clandestino del centro interno del Pci e gli scioperi della Cgil contro il fascismo; attiva anche in Spagna, nella sua lotta clandestina fu arrestata più volte durante la guerra e deporta nei campi di Ravensbruck e Holleischen. «Poi dopo la guerra cambia il momento storico e cambia il modo e la forma di lottare. Per le donne, grazie alla sua attività politica, ha fatto cose di cui vediamo ancora oggi il risultato, ha lasciato segni, impronte». Deputata all’Assemblea costituente, fu membro del Comitato dei Settantacinque che scrisse la Costituzione. Eletta alla Camera nelle prime due legislature repubblicane, si impegnò nella lotta per la parità salariale e per la tutela delle lavoratrici madri. Scrive Teresa Noce: «Il lavoro “femminile” non mi è mai piaciuto e mi sono sempre rifiutata di compierlo, anche se sono sempre stata attiva in difesa delle donne. È il concetto di lavoro femminile – [nel partito] – che è sbagliato in quanto quasi contrapposto oppure separato da quello generale […] come non vi può essere emancipazione femminile se non si emancipano anche gli uomini, così nel Partito non vi devono essere organismi e tantomeno organizzazioni differenziati per sesso». Ma al di là della sua attività politica, Farideh trova in Teresa Noce sensibilità e delicatezza: «Era anche una madre, molto forte, ha avuto tre figli (uno morto dopo pochi mesi dalla nascita per meningite), ha avuto il coraggio di tenerli, nonostante il pericolo, ha fatto tutto per loro. È stata una moglie fedele e innamorata». Farideh ha tradotto il libro trentatré anni fa, subito dopo che uno studente glielo regalò qui a Roma; nell’82 era già pronto ma le difficoltose vicissitudini della sua vita non le hanno permesso di pubblicarlo. Lo ha trovato subito molto importante, ha imparato molto: «Se prima ero dogmatica e rigida, tradurre questa autobiografia mi ha aiutato a cambiare, mi ha insegnato negli anni a riflettere anche sui miei dogmatismi. Ho imparato ad ascoltare, a sentire tutti, a elaborare un pensiero e riflettere con la mia testa, e ad andare anche contro una idea sbagliata. Ho iniziato con questo libro, è stato come un input, poi la vita mi ha dato il resto e mi ha insegnato tanto». Per questo ha pensato che potesse essere importante anche per le altre donne iraniane: «Più passa il tempo e più le donne iraniane diventano emancipate. Nel suo corso di architettura all’università vi sono più studentesse che studenti; possono studiare, possono uscire dal paese, e sono molto più attive degli uomini. Le donne iraniane più emancipate e politicizzate o quelle femministe, potranno usufruirne e le colpirà». Naturalmente Farideh, che conosce molto bene la storia italiana, ha aggiunto delle note per descrivere i vari personaggi della Resistenza e spiegare i momenti storici. E poi tante foto che Giuseppe, il figlio di Teresa Noce, le ha gentilmente dato: «Avrei tanto voluto conoscere Teresa Noce, ma era già morta, e ho cercato il figlio. Mi hanno accolto affettuosamente e contenti, non immaginavano che una donna iraniana conoscesse cosi bene la loro storia e la loro famiglia». L’obiettivo del libro non è dare speranza, ma «dare consapevolezza alle donne». «Ho capito una cosa nella vita: molto importante è il lavoro culturale senza del quale non si arriva a nessuna conclusione e nel mio paese è fondamentale. Le persone devono prendere coscienza, devono capire. Bisogna lottare contro una cultura sbagliata, ma non solo in politica. Oggi con l’elezione del nuovo Parlamento è successa secondo me una cosa molto bella, vuol dire che c’è più coscienza e si capisce di più». Quando la casa editrice ha voluto pubblicarlo non c’è stato fra l’altro alcun tipo di censura da parte del ministero. Neanche Farideh ha dovuto autocensurarsi, sorridendo dice che ha cambiato solo una frase di Gigi bambino, il primo figlio Teresa Noce, irriverente nei confronti della religione, ma niente di più. La cosa più bella è che comunque il libro è uscito a Teheran l’8 marzo, proprio il giorno della festa della donna. «Non avevamo programmato la data di uscita – ci dice Farideh – ma l’8 marzo è stato un giorno significativo, un trionfo! Allora significa che Teresa Noce vive e che è stata la sua energia ad aver permesso questo».
Stefania Miccolis, l’Unità