Il numero di donne operate al seno che sopravvivono a un tumore e devono convivere con gli effetti collaterali è in costante aumento: un report del National Health Institute USA evidenzia che negli ultimi 20 anni il numero di pazienti oncologici lungo-sopravviventi con limitazioni causate dalle terapie oncologiche è aumentato fino a raggiungere il 70% nel 2018. Questi problemi generano gravi conseguenze psico-sociali ed economiche. Per affrontarle l’Associazione dei pazienti Onconauti ha realizzato in collaborazione con le Istituzioni Sanitarie pubbliche un metodo di riabilitazione con interventi integrati sullo stile di vita che si è rivelato efficace, riproducibile e a basso costo. Già sono state coinvolte oltre duemila pazienti. Affinché il metodo si possa estendere è necessario avviare una sinergia tra diversi attori: questo è uno degli obiettivi del National Meeting “Dall’invalidità ai percorsi di reinserimento lavorativo nelle donne operate al seno: sintesi degli aspetti clinici, medico legali e riabilitativi per le “pazienti-lavoratrici” nel lavoro e nel follow-up”, che si è tenuto il 29 settembre presso la Sala Convegni della Scuola Superiore di Polizia di Roma, con responsabili scientifici il Dott. Fabrizio Ciprani e il Dott. Stefano Giordani. In Italia, circa il 50% delle nuove diagnosi di tumore vengono effettuate in età lavorativa e ogni anno circa 100mila persone si aggiungono ai quasi 1,5 milioni di “pazienti-lavoratori” oncologici che sono rientrati al lavoro dopo un tumore. Fra questi, le donne operate al seno costituiscono il gruppo più numeroso, con circa 30-40mila casi annui stimati di rientro al termine dei trattamenti e più di 800mila lungo-sopravviventi, che spesso hanno difficoltà nel reinserimento lavorativo. “Lo studio sulle donne operate al seno, promosso dall’Associazione Onconauti a Bologna, ha documentato per la prima volta che il 42% ha riscontrato un reinserimento problematico per sintomi psichici e fisici secondari ai trattamenti che dopo un anno tendono a cronicizzare; il 6% non rientra più al lavoro, anche a causa di discriminazioni – sottolinea Stefano Giordani, Direttore Scientifico Associazione Onconauti – Negli ultimi 10 anni un numero sempre maggiore di pazienti per ridurre l’incidenza di recidive a distanza effettua terapie ormonali preventive fino a 7-10 anni dopo la diagnosi, e usa farmaci biologici per 2-3 anni. Inoltre, sempre più donne con malattia metastastica sono ormai da considerarsi lungo-sopravviventi e possono rientrare al lavoro, pur dovendo eseguire terapie ormonali, farmaci biologici e chemioterapia per il resto della vita. Sulle spalle dei Medici Competenti grava quindi un’enorme responsabilità, che non è però supportata da strumenti adeguati, in quanto nessuno ha mai misurato l’impatto psico-sociale e le conseguenze sulla capacità lavorativa di questa nuova realtà clinica”.“Serve un ampio consenso tra Istituzioni, Società scientifiche, Aziende e Associazioni del Terzo Settore che favorisca una comunicazione tra Oncologi, MMG e Medici Competenti, e percorsi riabilitativi di ‘Return to Work’ dedicati al recupero funzionale delle pazienti lavoratrici. Intervenire sullo stile di vita è difficile, non bastano le raccomandazioni; servono dei percorsi di reinserimento lavorativo adeguati” aggiunge il Dott. Giordani. Nell’ambito del convegno emerge la condivisione della propria esperienza da parte della Dott.ssa Grazia Guiducci, medico del lavoro che si è a lungo occupata di casi di reinserimento ed è volontaria dell’Associazione Onconauti da quando lei stessa si è ammalata. Il metodo di riabilitazione integrata oncologica validato da oltre dieci anni dall’Associazione Onconauti riduce ansia, depressione, dolore, affaticamento e migliora l’efficienza psico-fisica. “Il metodo della nostra associazione consiste in trattamenti non farmacologici che si sono dimostrati di provata efficacia scientifica – spiega Stefano Giordani, Direttore Scientifico Associazione Onconauti – Ai pazienti viene offerto un programma personalizzato di attività come lezioni di yoga, agopuntura o shiatsu, riflessologia e Qi Gong, interventi sullo stile di vita per stabilire un’alimentazione salutare e svolgere attività fisica regolare; ricevere supporto psicologico (arteterapia, mindfulness, ecc); e, in caso di necessità specifiche, sedute di fisioterapia. La combinazione di questi tre elementi (trattamenti integrati, stile di vita corretto, supporto psicologico) in un percorso della durata di tre mesi ha dimostrato il miglioramento della qualità di vita e dei sintomi nell’86% dei partecipanti, che possono così riprendere l’attività lavorativa. Questi interventi, conferma la letteratura scientifica, sono inoltre anche in grado nei tumori più frequenti di ridurre il rischio di recidiva della malattia e aumentano la sopravvivenza. Fondamentali in questo percorso risultano la tecnologia per la Teleriabilitazione, la presenza sul territorio e la personalizzazione degli interventi”. “Siamo lieti di dare ospitalità a questa iniziativa, che rientra appieno nell’attività della struttura medica che abbiamo nell’ambito della polizia – evidenzia Fabrizio Ciprani, direttore centrale della sanità della Polizia di Stato – Nella PS siamo impegnati nel recupero dei pazienti oncologici: se lo fa la polizia che è una realtà con compiti operativi, tanto più si può fare in ambiti dove vi siano incarichi impiegatizi. È molto importante favorire questi processi in quanto il lavoro è una terapia in sé e aiuta psicologicamente le donne che abbiano avuto un tumore e nel nostro ambito cerchiamo di incentivare questo processo”.