Ammesso e non concesso che dal 2030 in Ue non dovrebbero più essere prodotte auto non elettriche, a parte le “resistenze” e i “boicottaggi” del solito affarismo industriale omicida e suicida, il grosso problema di fondo è che, per avere efficacia, questa rivoluzione non può che essere mondiale.
I disequilibri e le tragedie che stravolgono l’ambiente sono solo marginalmente quelli sotto casa propria. La Marmolada si sta sciogliendo non per colpa di chi abita intorno alle Dolomiti, ma per un effetto serra che coinvolge – tra le tante e diverse concause – l’automobilista che guida a Palermo e quello del paesino più sperduto dell’Australia: per le emissioni specifiche del suo veicolo (poco tangibile in alcuni casi) e per la filiera estrattiva e commerciale del carburante utilizzato. I ghiacciai che si sciolgono ai poli non è certo per le attività degli esquimesi a nord e le cacche dei pinguini a sud.
La storia industriale dell’Occidente ha sempre avuto il “trasferimento” nei Paesi poveri dei vecchi veicoli non più legali nei Paesi ricchi (1).
Mentre in Ue, e non solo, avanzano decisioni e realizzazioni di politiche industriali per la marginalizzazione/dismissione del fossile, non si può dire altrettanto nel terzo e quarto mondo. Non solo, ma in questi Paesi, l’arrivo più o meno a buon mercato di veicoli dismessi dai Paesi ricchi, è accolto bene, ché finalmente l’emulazione della vita “ricca” può essere vissuta non solo sulla tv o un telefonino; c’è quindi un buon mercato. Questo lo sanno gli industriali del settore che, ecologisti nel proprio giardino, non lo sono altrettanto dove possono essere accettati questi “rifiuti”.
Altro aspetto è quello dei piccoli centri dei Paesi ricchi. Sicuramente dovranno sottostare alle normative, ma lo faranno con ritardo e riluttanza, compromettendo l’adeguamento generale. I modelli di mezzi elettrici oggi sul mercato hanno poca autonomia e in alcuni Paesi, Italia fra questi, i punti di rifornimento sono scarsi, soprattutto dove c’è meno abitanti. Non solo, ma essendo luoghi in cui la mobilità è maggiore (2), l’attuale scarsa autonomia dei veicoli sul mercato non è certo stimolo ad usarli. Gli abitanti di queste zone hanno alto rischio di essere tra gli ultimi al mondo ad usare mezzi inquinanti. Le soluzioni, specialmente in un Paese ricco di sole come l’Italia, ci sarebbero, ma non abbiamo ancora percepito attività industriali e incentivi per una capillare diffusione di, per esempio, colonnine di ricarica elettrica ad energia solare (3).
Ben vengano, quindi, tutti i provvedimenti nei nostri Paesi ricchi ma se non prevedono anche interventi in altri Paesi, corrono il rischio di diventare un bluff. Certo, non si può, per esempio, andare in Nigeria e dir loro quel che dovrebbero fare, anche perché allo stato son “contenti” di ricevere i nostri mezzi Eurox, ma se vogliamo non essere velleitari e ripetere gli errori del colonialismo dei secoli scorsi (4), queste rivoluzioni vanno fatte insieme alla Nigeria.
La questione, quindi, è molto più complicata e difficile di quanto sembri e, come sempre, non è una questione solo industriale ma essenzialmente politica.
1 – come, in altro ambito, accade per i rifiuti, soprattutto quelli elettronici: buttati nelle discariche inquinanti dei Paesi poveri.
2 – la gran parte della produzione di mezzi elettrici è attualmente per una mobilità nei grandi centri urbani.
3 – costi di installazione adeguati, ma manutenzione e rifornimenti praticamente vicini allo zero.
4 – per il nostro benessere abbiamo sfruttato e “distrutto” il loro ambiente, oltre – spesso –, con lo schiavismo, aver fatto loro quanto mai avremmo fatto in patria.
Vincenzo Donvito Maxia, ADUC