È ormai tempo di dare una regolamentazione allo smart working– sia nel privato che nel pubblico – non più rinviabile con la fine dello stato di emergenza ad oggi fissato al 31 dicembre, quando cioè non si potrà più contare sulla procedura semplificata per il ricorso al lavoro agile, tornando così allo scenario pre-pandemico che richiedeva la necessità di definire accordi individuali. Nei giorni scorsi il Ministro Renato Brunetta ha fissato il perimetro nella Pa : contratto finalizzato proprio a regolare l’accesso e la gestione dello smart working nella pubblica amministrazione e pacchetto di misure parallelo a quello del lavoro in presenza.
La maggior parte delle aziende nel privato si sono già mosse per una soluzione che nella maggior parte dei casi sembrano aver optato per quello che è già stato ribattezzato “lavoro ibrido”, un mix cioè tra lavoro in presenza e da remoto. Stando all’ultima bozza, intanto, il lavoro agile non potrà essere svolto dall’estero a meno che la sede di lavoro sia fuori dai confini nazionali. Da definire le giornate in smart working e gli orari delle tre fasce di lavoro da remoto (operatività, contattabilità e inoperabilità).
Dalla protezione dei dati al diritto alla disconnessione passando per la sicurezza dei lavoratori, sono comunque tanti i grandi “capitoli” sul tavolo chiamato a mettere nero su bianco l’accordo tra le parti da “trasferire” nei contratti.
Da alcuni studi è emerso che moltissime sono le ricadute positive che ha portato il lavoro agile, sia in termini di produttività che sull’inquinamento (in particolare, taglio delle emissioni per la riduzione degli spostamenti), e che se condotto correttamente contribuisce a mantenere maggiore equilibrio tra vita personale e lavoro. Ma non ci sono solo lati positivi, ad esempio i bar e i ristoranti hanno risentito – non poco – dello smart working perdendo clienti stabili.