(di Tiziano Rapanà) La tv pubblica pratica, con gusto, l’esercizio della memoria. Ogni sera Rai1 con Techetechetè ci ricorda la grandezza della vecchia tv del passato. Raiplay abbonda di memorabilia audiovisive, di vecchie tracce di un mondo perduto. Io li conoscevo bene, di Maurizio Costanzo e Pino Strabioli (lunedì in seconda serata su Rai3), percorre quella strada del ricordo del tempo che fu così cara a questa Rai. Il programma ricorda le gesta di quattro grandi cavalieri dello spettacolo italiano (Enrico Vaime, Paolo Villaggio, Carmelo Bene e Marcello Mastroianni) rimembrati attraverso i ricordi di Costanzo, mitico inventore dei programmi più importanti della tv moderna che è diventato in età senile un saggio e simpatico papà castoro – mi si perdoni la citazione di un vecchio cartone animato anni Novanta– dispensatore di gustosa aneddotica dal vago sapore malinconico. Pino Strabioli è un ottimo sparring partner, lo aiuta, non scavalca. Strabioli è un tipo atipico: nonostante sia un attore non conosce la protervia. Esercita la generosità con encomiabile naturalezza. Nelle prime due puntate sono stati raccontati Paolo Villaggio e Marcello Mastroianni, con un corretto equilibrio tra l’aspetto pubblico e privato. Lo studio sembra vestito dalla dea della sobrietà: qualche filo di lampadina come adorno e tre enormi maxischermi a proteggere la chiacchiera di Costanzo e Strabioli, seduti uno di fronte all’altro. Molte parole e pochi filmati di repertorio: vera protagonista della trasmissione è la memoria di Costanzo, testimone e a volte artefice di alcuni momenti salienti della carriera di questi straordinari artisti. Sembra un programma fatto per Strabioli: tu lo vedi e ti sembra un bambino felice nel paese dei balocchi. Le sue esclamazioni, a volte sembrano esagerate: “Che meraviglia!”, “Ho i brividi!”, “Che invidia!” e dulcis in fundo la super abusata “Mi sono emozionato!”. Strabioli è felicissimo, non sta nella pelle nel conoscere il vissuto di Costanzo attraverso i ricordi dei suoi grandi amici artisti. La trasmissione ha un grande pregio: nonostante l’elogio della nostalgia, non si avverte l’insostenibile retrogusto necrologico.