Covid, la differenza del genere non è considerata variabile

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Solo il quattro per cento degli studi registrati su ClinicalTrials.gov in cui si valutano approcci terapeutici per il trattamento di Covid-19 ha riportato esplicitamente il piano per includere il genere e il sesso come variabili analitiche. A rivelarlo un’indagine pubblicata sulla rivista Nature Communications, condotta dagli scienziati della Radboud University, nei Paesi Bassi, che hanno esaminato l’inclusione di sesso e genere negli studi statunitensi divulgati tra il primo gennaio 2020 e il 26 gennaio 2021. Le differenze di sesso e genere, osservano gli autori, influiscono sull’incidenza dell’infezione da SARS-CoV-2 e sulla mortalità di Covid-19, per cui non considerare questi parametri potrebbe compromettere la validità del trattamento. Il genere, spiegano gli esperti, è un costrutto che può descrivere identità, norme e relazioni tra individui e influenzare l’accesso a test, diagnosi, cure mediche e trattamenti. Il team, guidato da Sabine Oertelt-Prigione, ha identificato 237 studi che prevedevano abbinamenti per sesso e 178 in cui si riportava un piano per includere la variabile analitica del genere/sesso. Dei 4.420 studi registrati, in più della metà (2.496) il fattore non veniva considerato e in 935 si faceva riferimento al genere esclusivamente nel contesto del reclutamento dei partecipanti. Per i 45 lavori con controllo randomizzati per interventi farmacologici, solo otto riportavano inoltre i risultati disaggregati per genere. I ricercatori sottolineano che è stata analizzata la sola piattaforma ClinicalTrials.gov, per cui queste stime potrebbero non essere estese a livello globale. Tutti coloro che lavorano alla ricerca su Covid-19, concludono gli scienziati, dovrebbero implementare una metodologia specifica per il sesso e un’analisi più completa per valutare gli impatti relativi al genere, identificando le esperienze specifiche dei sottogruppi e le differenze dei risultati sulla base di questi parametri.