Gli accordi commerciali derivanti dai negoziati relativi alla Brexit potrebbero compromettere la salute alimentare nel Regno Unito. Pubblicata sulla rivista Nature Food, questa ipotesi è stata formulata dagli scienziati dell’Università di Oxford e del Johann Heinrich von Thünen Institute, in Germania, che hanno valutato i potenziali impatti della Brexit sulle abitudini alimentari della popolazione inglese. Quasi il 50 per cento del cibo consumato nel Regno Unito, riportano gli autori, deriva da importazioni, per cui il sistema alimentare sarà inevitabilmente influenzato dalle trattative tra le nazioni inglesi e gli altri partner commerciali instaurate dopo la Brexit. Potrebbero infatti aumentare le produzioni interne di alimenti malsani e altamente lavorati, ricchi di calorie e poveri di nutrienti, il che avrebbe implicazioni sulla salute legata alle abitudini alimentari. Il team, guidato da Marco Springmann dell’Università di Oxford e Florian Freund del Johann Heinrich von Thünen Institute, ha utilizzato modelli sanitari ed economici integrati per analizzare in che modo la salute alimentare nel Regno Unito potrebbe essere influenzata da diversi tipi di accordi commerciali.Politiche di libero scambio con gli Stati Uniti e i paesi del Commonwealth potrebbero triplicare gli impatti negativi sulla salute della Brexit attraverso una maggiore disponibilità di alimenti ad alto apporto calorico. L’aumento dei prezzi per alimenti come frutta e verdura potrebbe inoltre portare a un minore consumo di questi nutrienti e, di conseguenza, a un aumento della mortalità correlata all’alimentazione. Secondo gli scienziati, tuttavia, la rimozione dei dazi sulle importazioni di prodotti ortofrutticoli e sussidi per sostenere la produzione interna di frutta, verdura, legumi e noci, potrebbero mitigare questi effetti negativi. Questi dati, sottolineano gli autori, forniscono un’importante opportunità per il Regno Unito di sviluppare una politica commerciale sensibile alla nutrizione. Nel paese sono infatti necessarie riforme del commercio, concludono i ricercatori, per evitare impatti negativi sulla salute alimentare della popolazione.