Covid, il virus è naturale? La scienza si interroga

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Nonostante sia passato più di un anno dallo scoppio della pandemia, non abbiamo ancora la certezza di quale sia l’origine del virus che l’ha causata. Solo ipotesi: da quella più probabile che possiamo definire “naturale”, cioè il salto di specie da animale a uomo, a quella più improbabile, ma non impossibile, secondo la quale Sars-CoV-2 sarebbe nato in laboratorio. Si tratta di un vero e proprio giallo che, come mostra la lettera pubblicata la scorsa settimana su Science da 18 illustri scienziati americani, sembra non aver ancora trovato soluzione.  All’inizio dell’epidemia in Cina la maggior parte dei primi casi di Covid-19 erano collegati al mercato degli animali di Huanan e si è subito ipotizzato che fosse proprio quest’ultimo la prima fonte di Sars-CoV-2. Tuttavia, studi successivi condotti sempre da scienziati cinesi hanno messo in dubbio questa ipotesi. In primis, perchè alcuni dei primi casi non avevano alcun legame epidemiologico con il mercato. E poi perchè, attraverso massicci campionamenti e test per rilevare il virus nelle carni congelate e negli animali domestici intorno alla città di Wuhan, hanno prodotto risultati negativi. Inoltre, i coronavirus che erano filogeneticamente correlati alla SARS-CoV-2 sono stati trovati nei pipistrelli rhinolophus nei paesi dell’Asia meridionale tra cui Cina, Giappone, Cambogia e Thailandia e in pangolini contrabbandati in Cina dai paesi dell’Asia meridionale. E’ stato poi confermato che diversi piccoli gruppi di casi di Covid-19 in Cina sono stati causati da alimenti contaminati provenienti da altri paesi. Per diversi mesi le autorità cinesi hanno diffuso notizie circa la presenza di “tracce di coronavirus” negli imballaggi dei prodotti alimentari importati dall’estero: da gamberetti sudamericani al salmone scandinavo, dalle ali di pollo alle bistecche di manzo. C’è stata una segnalazione anche per gli imballaggi di componenti automobilistici spediti dalla Germania.  Tutti questi dati e queste informazioni contrastanti suggeriscono che le origini del virus sono molto più complicate del previsto. Mentre quindi il mondo era alle prese con la lotta globale alla pandemia, sono state fatte enormi speculazioni sulle origini del virus SARS-CoV-2. Tra le teorie c’è quella secondo la quale il virus fosse un’arma biologica artificiale e che una perdita accidentale dal laboratorio ha portato allo scoppio della pandemia. La maggior parte della comunità scientifica ha subito respinto questa ipotesi, ritenendo più probabile l’origine naturale. Il Wuhan Institute of Virology (WIV) della Chinese Academy of Sciences si è impegnato in uno studio a lungo termine sui serbatoi naturali di SARS-CoV ed è tra i primi istituti ad aver identificato SARS-CoV-2 dopo il primo focolaio di Covid-19. Gli scienziati cinesi hanno trovato corrispondenze piuttosto importanti in campioni di pipistrello archiviati raccolti nel 2013. Ma le indagini non si sono fermate. Anzi si è cominciato a ipotizzare che nel salto di specie tra pipistrello e uomo ci fosse un “serbatoio” intermedio e cioè il pangolino. Un punto di svolta sarebbe dovuto arrivare dall’inchiesta avviata dal’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), avviata in Cina. Ma alla fine non è stato così. Nel rapporto pubblicato lo scorso marzo, lungo 120 pagine, compilato da 34 scienziati, 17 inviati in Cina dall’Oms e 17 cinesi, i dubbi non si sono dipanati. Anzi alla fine Tedros Adhanom Ghebreyesus, il direttore generale dell’Oms, ha detto che bisogna tornare ad indagare. “Tutte le ipotesi sono ancora sul tavolo”, aveva detto,  specificando che servono “dati più robusti”. I ricercatori dell’Oms non hanno scartato l’ipotesi della contaminazione degli imballaggi, ma non hanno trovato prove che ci sia stato contagio. Nel report si valuta come “probabile” il passaggio diretto da un animale all’uomo e “molto probabile” il salto attraverso un animale intermedio. Non sono certi che il coronavirus sia partito dal mercato Huanan di Wuhan, dove si vendeva principalmente pesce, ma c’erano anche banchi di carne selvatica e gabbie con animali vivi.  Il rapporto Oms indica sempre i pipistrelli come principali indiziati dell’insorgenza del coronavirus. Ma ammette che bisogna continuare a studiare per identificare la specie intermedia che ha permesso al Sars-CoV-2 di entrare in contatto con il genere umano. Tra i sospetti c’è anche il pangolino. Sull’ipotesi dell’incidente in laboratorio, il report dell’Oms non la esclude definitivamente. Ma conclude che “possibilità che la diffusione del nuovo coronavirus derivi da un incidente collegato a un laboratorio è estremamente improbabile”. La questione è stata ora riaperta dai 18 scienziati delle università americane, canadesi ed europee, che hanno firmato la lettera su Science, proprio per chiedere di non fermare la ricerca sulle origini della malattia e, soprattutto, di non pensare di orientare tale ricerca in una sola direzione, quella cioè del salto di specie naturale del virus. I ricercatori ritengono che l’ipotesi dell’origine artificiale del virus non sia così peregrina da poter essere scartata. “Dobbiamo prendere sul serio le ipotesi sugli spillover naturali e di laboratorio fino a quando non avremo dati sufficienti”, scrivono gli scienziati. Ad animare l’iniziativa sono stati David Relman della Stanford University e Jesse Blossom della Università di Washington. Insieme a loro, solo per citarne alcuni,  anche Akiko Iwasaki Dipartimento di Immunobiologia, Scuola di Medicina dell’Università di Yale, Richard A. Neher ed Erik van Nimwegendel Biozentrum, Università di Basilea e Istituto svizzero di bioinformatica, Basilea, Svizzera, Ravindra Gupta del Cambridge Institute of Therapeutical Immunology & Infectious Disease, Cambridge, Regno Unito. Nella lettera i ricercatori stigmatizzano l’operato dell’OMS e del suo direttore generale, Tedros Ghebreyesus. Secondo i firmatari della lettera, “un’indagine adeguata dovrebbe essere trasparente, obiettiva, basata sui dati, comprensiva di un’ampia esperienza, soggetta a supervisione indipendente e gestita in modo responsabile per ridurre al minimo l’impatto dei conflitti di interesse. Allo stesso modo, le agenzie di sanità pubblica e i laboratori di ricerca devono aprire i propri archivi al pubblico. Gli investigatori dovrebbero documentare la veridicità e la provenienza dei dati da cui vengono condotte le analisi e le conclusioni tratte, in modo che le analisi siano riproducibili da esperti indipendenti”.