L’affascinante olandese divenne famosa nei salotti parigini Agente segreto per Francia e Germania, fu fucilata nel 1917. Era molto diversa dalle connazionali: incarnato olivastro, capelli e occhi neri, alta, aria esotica Durante gli spettacoli si spogliava e restava con addosso i gioielli.
(di Cesare Lanza per LaVerità) È il simbolo universale dello spionaggio, al femminile. Con episodi e aspetti romanzeschi. Fu l’amante di principi e altri personaggi nobili, di grandi militari, di uomini celebri nel mondo. Fu indagata e condannata a morte per tradimento, in Francia, come spia che agiva a favore della Germania, durante la prima guerra mondiale, nel 1917. Al momento della fucilazione Mata Hari (Leeuwarden, in Olanda, 7 agosto 1876 – Vincennes, in Francia, 15 ottobre 1917) mostrò grande dignità e indiscutibile coraggio. Non volle essere bendata, e aveva indossato uno dei suoi abiti più eleganti, con uno splendido cappellino in testa. Aveva scelto un abito grigio perla, con corsetto di pizzo, tricorno e cappotto blu. Romanzesca la sua fine: il plotone di esecuzione, secondo le usanze, agì presso il castello di Vincennes. Degli undici colpi sparati contro di lei, otto andarono a vuoto, uno la colpì al ginocchio, uno al fianco, il terzo, fatale, al cuore. Nessuno reclamò la sua salma, che fu sepolta in una fossa comune. «Non abbiate paura per me, sorella. Saprò morire. State per assistere a una bella morte». Con queste parole Mata Hari si congedò da suor Marie, la monaca che l’aveva assistita nella prigione di Saint-Lazare, carcere femminile del X arrondissement di Parigi, e le fu vicina fino all’ultimo. La prima curiosità, al di là della sua leggendaria qualità seduttiva, riguarda l’avvenenza fisica: era bella, la celebre spia, era sexy? E in che misura? Mata Hari, di origine malese (il nome significa «l’occhio dell’alba», quindi il sole), era molto diversa dalle connazionali olandesi: carnagione olivastra, quasi scura, capelli neri, occhi neri e penetranti, 1.78 di altezza (per l’epoca quindi molto alta), magra, aria esotica, non bellissima, ma sinuosa e sensuale: risultava, a tutti, immediatamente affascinante. Il Times scrisse di lei: «Un’avvenenza che sconfina nell’incredibile, con una figura dal fascino strano e dalle movenze di una belva divina che si conduca in una foresta incantata». Si affermò come ballerina. Durante le sue esibizioni era vestita con sottili veli traslucidi, poi se ne spogliava, lasciandoli cadere a terra uno dopo l’altro, finché non le rimanevano addosso solo i gioielli orientali che amava e, a volte, una maglia dello stesso colore della pelle. Il suo show consisteva nello spogliarsi lentamente, tuttavia lei non mostrò mai il seno nudo. Appariva evidente il suo disagio. Ma perché, qual era il motivo? Mata Hari affermò perfino, un giorno, che il suo violento marito le aveva, addirittura strappato i capezzoli, in un impeto di gelosia. Ma si trattava di una bugia. La verità è che le cupole di bronzo ingioiellate, che mascheravano i suoi seni durante gli spettacoli, dovevano nasconderne le dimensioni minuscole. Il successo di danzatrice provocò una curiosità cui lei non potè sottrarsi e fece coincidere l’immagine privata con quella pubblica: «Sono nata a Giava e vi ho vissuto per anni » raccontò ai giornalisti, tra poche verità e numerose menzogne – «sono entrata, a rischio della vita, nei templi segreti dell’India… ho assistito alle esibizioni delle danzatrici sacre davanti ai simulacri più esclusivi di Shiva, Viu e della dea Kālī… persino i sacerdoti fanatici che sorvegliano l’ara d’oro, sacra al più terribile degli dei, mi hanno creduto una baiadera del tempio… la vendetta dei sacerdoti buddisti per chi profana i riti è terribile… conosco bene il Gange, Benares, ho sangue indù nelle vene».
Mata Hari – hanno scritto – è l’impersonificazione della definizione tutta francese de La Vraie Vie, la vita vera, fatta di momenti di bellezza indicibile e di profonda depressione, di lealtà e di tradimenti, di paure e di momenti calmi e tranquilli. Stratega, tattica, invidiata, spesso odiata, e sempre dotata di profondità, sensibilità e in perenne speranza nei confronti dell’Amore, come si deduce da un estratto dei suoi scritti: «C’è un mito greco che mi ha sempre affascinato e che, penso abbia molti elementi che ricorrono nella vostra storia, perlomeno in una variante adottata presso alcuni popoli: “Amore e Psiche”. Ogniqualvolta ripenso a questo mito, mi domando: potremo mai scorgere il vero volto dell’amore? E comprendo ciò che i greci intendevano insegnare con quella storia: l’amore è un atto di fede nell’altro, e il suo volto misterioso deve restare sempre celato. Bisogna vivere ogni momento con trasporto ed emozione perché, se cerchiamo di decifrarlo e comprenderlo, la magia di quel sentimento supremo scompare». Margaretha Geertruida Zelle, era questo il vero nome di Mata Hari, nacque in una cittadina del nord dei Paesi Bassi nel 1876, figlia di Heer Adam Zelle – proprietario di una bottega di cappelli, di un mulino e di una fattoria – e di Antje var der Meulen. Grazie al lavoro paterno, la famiglia Zelle poteva permettersi di vivere in un sontuoso palazzo al centro della città, ma ben presto il padre di Margaretha fallì e dichiarò bancarotta e la madre, gravemente malata, morì nel 1890. Costretta a lasciare la casa natale, viene mandata dal padrino a Sneek e poi spedita a Leida, in un collegio per future maestre. Orfana, dopo la morte della mamma e senza un papà che l’aveva abbandonata per fuggire con un’altra donna, viene espulsa un paio d’anni dopo per aver avuto una relazione con il preside. A 18 anni, annoiata e infelice, risponde a un annuncio di matrimonio pubblicato sul giornale da un ufficiale, un certo Rudolph MacLeod. Ma non cambiò nulla dopo il sì. L’ufficiale, molto più anziano di lei, aveva pochi soldi, molti debiti e un buon numero di storie extraconiugali. Dopo la morte del primo figlio, di appena due anni, andò via.
Nel 1902 arrivò la separazione, poi il divorzio. Con Rudolph la futura Mata Hari si era trasferita nell’isola di Sumatra, in Indonesia. Ma Margaretha era abituata agli agi europei. Ai rapporti inquieti con il marito, spesso brutale, si aggiunge la perdita di uno dei due figli, Norman, morto all’improvviso, probabilmente avvelenato. Margaretha sprofonda nella depressione e il marito decide di chiedere per la famiglia il trasferimento in un’isola vicina, Giava. Ed ecco la prima svolta: una sera viene invitata ad assistere a uno spettacolo di balli tradizionali. L’eleganza dei movimenti dei danzatori giavesi incanta e travolge Margaretha. E nasce Mata Hari. Margaretha torna a casa dello zio all’Aia. Ma anche in Olanda resta poco e nel marzo del 1903 si trasferisce a Parigi. È la stagione sfavillante della Belle Époque. Margaretha Zelle nei teatri e nei bar di Parigi trova la fortuna. Anche se non ha soldi, fa la modella, balla in teatri di pessimo livello, si prostituisce. Nel febbraio del 1905 la vera svolta: casualmente entra in casa della cantante Kiréevsky, che organizzava spettacoli di beneficenza, per vecchi e nuovi ricchi. Quella notte, la prima per Mata Hari, si esibisce in una danza seducente sfilandosi lentamente i veli che vestono il suo corpo fino a rimanere quasi del tutto nuda. È un successo insperato e imprevedibile: tutta la Parigi gaudente parla e spettegola della donna misteriosa che dice di venire da remote zone del mondo. Mata Hari, furbissima, arricchisce il proprio passato con episodi intriganti… Ed esplode la sua fama, dal Trocadero al Café des Nationes, dall’Olympia al Moulin Rouge. Fino all’estero: nel 1906 una tournée in Spagna diventa un grande trionfo. Viene definita la «donna che è lei stessa la danza», l’«artista sublime», che «riesce a dare il senso più profondo e struggente dell’anima indiana». Irrompe sulle prime pagine di tutta Europa ed è desiderata dagli uomini più ricchi, molti sono suoi devoti amanti che riempiono le camere in cui alloggia, che la sommergono di costosissimi regali. Questa favola è interrotta dalla prima guerra mondiale: per Mata Hari, la perdita di ogni bene. Nomade, apolide e in ristrettezze economiche, vive grazie alla beneficenza dei suoi amanti: un banchiere, un colonnello degli ussari olandesi, un maggiore dell’esercito belga e un capitano dell’aviazione russa. L’ennesima svolta avviene con la frequentazione del console tedesco Alfred von Kremer, anch’egli suo amante, che le propone di diventate una spia dell’Impero austroungarico. Lei accetta, più per desiderio e necessità di denaro che per le sorti dell’AustriaUngheria, e viene arruolata nelle file segrete del Kaiser.
È addestrata prima a Berlino e poi ad Anversa sotto la guida della misteriosa Fràulein Doktor, ovvero Elsbeth Schragmiiller, una delle prime donne laureate in Germania e considerata una delle spie più importanti durante la Prima guerra mondiale. Mata Hari ha il compito di ottenere informazioni in Olanda e soprattutto in Francia per riferirle ai tedeschi: il nome in codice che le viene assegnato è agente H21. Margaretha si trasforma di nuovo, è una spia: giunta in Francia, vuole guadagnare ancor di più arruolandosi anche per i servizi segreti francesi e fornendo loro informazioni riguardanti il fronte nemico. Una doppia vita, pericolosa, con rapporti segreti con due nazioni avversarie. Spionaggio e controspionaggio. Sarà la sua fine. Su di lei sono puntati i servizi segreti di tre paesi: i Deuxième Bureau di Parigi, i primi a insospettirsi e a pedinarla, gli Abteilung di Berlino e infine i Secret Intelligence Service di Londra. I tedeschi sono i primi ad avere le prove del suo tradimento e vogliono che anche i francesi la scoprano per eliminarla. La fine arriva nel 1917, quando viene arrestata con l’accusa di spionaggio in favore della Germania. Al processo le uniche prove presentate erano quelle che dimostravano il suo stile di vita «immorale»: uno dei poliziotti incaricati di pedinarla a Parigi raccontò delle sue spese folli e dei suoi vari amanti. Processo rapido, a porte chiuse. Dichiarata colpevole e condannata a morte. Quattro giorni dopo la fucilazione, anche Georges Ladoux, l’uomo che aveva ripetuto con monotona durezza il suo j’accuse, fu arrestato per spionaggio a favore della Germania. Per quali motivazioni fu giustiziata Mata Hari? Probabilmente solo per una pura e cruda ragion di stato: dopo la battaglia di Verdun, occorreva spiegare come mai l’intelligence francese non avesse compreso le mosse del nemico. Quindi, era necessario offrire capri espiatori all’opinione pubblica, che aveva iniziato a criticare ferocemente capi militari e autorità politiche, vista la disperata situazione sociale e economica della Francia. Mata Hari fu arrestata nella camera 131 del Palace Hotel, al n. 103 degli Champs Elisées. Una curiosità sulla fucilazione. Come mai otto colpi, su undici, andarono a vuoto? Imperizia, incapacità, clemenza dei soldati? No: un fucile, secondo la regola, era caricato a salve perché ogni soldato potesse pensare di non essere stato lui a tirare il colpo mortale.