Critico gastronomico, giornalista, scrittore. Ma, alle origini, cronista di nera. Cronistaccio di strada. In quegli anni — gli anni anche dei molteplici e irrisolti delitti di donne con l’ipotesi di un serial killer allo studio del criminologo Franco Posa e che il Corriere sta raccontando da inizio anno —, l’oggi 71enne Edoardo Raspelli stava sulle scene del crimine.
Chi era Valentina Masneri, una delle assassinate?
«Una via ”normale”, a un passo dalla stazione Centrale e da via Vitruvio. Di fronte abitava una grande firma del giornalismo sportivo come Gianni Mura… In pieno giorno, nessuno che avesse sentito nulla. Non dimenticherò mai quella casa, quel piccolo ballatoio su cui, se non ricordo male, c’era un solo altro appartamento; la scala con il corrimano di legno e le traversine di ferro… Di Valentina ricordo soprattutto il comportamento del marito: lo tempestavo di domande da giorni, in ogni orario, e invece di mandarmi al diavolo eravamo diventati quasi amici. Un altro omicidio irrisolto: avevo recuperato ad Alassio una vecchia “fiamma” di quella povera ragazza, ma anche le mie “indagini” fecero un buco nell’acqua».
Il giorno del delitto di Simonetta Ferrero.
«Giacca e cravatta, completamente sbarbato come mi aveva chiesto il capo cronista, Giovanni Raimondi, alle 7 ero nello stanzone al secondo piano, la cronaca del Corriere d’Informazione, edizione del pomeriggio del Corriere della sera, entrambi diretti da Giovanni Spadolini. Era il mio primo giorno di lavoro. C’era il colera in Spagna e nemmeno il tempo “di togliermi il cappotto” (la frase preferita del vicecapo cronista, Franco Damerini) e mi mandarono in via Statuto, all’Ufficio d’Igiene, con il fotografo Peppino Colombo a documentare la coda di turisti che andava a farsi vaccinare. Mezz’ora dopo nell’autoradio suona il telefono, un baraccone celato nel cruscotto: “Raspelli, vola in largo Gemelli, alla Cattolica. C’è stato un omicidio”. Un indimenticabile, straziante battesimo professionale. Ricorderò per sempre il drammatico scoop di Peppino Colombo che scavalcando una cancellata, riuscì a fotografare il tragico lago di sangue di Simonetta, e i funerali della ragazza: nel silenzio agghiacciante della parrocchia di piazzale Brescia, accanto alla casa della ragazza uccisa, si levò altissimo un grido: “Simonetta” urlò una sua amica. Ho ancora nell’orecchio quel suono».
Che Milano era?
«Tetra, cupa, spaventata, terrorizzata. Sono stato il primo giornalista ad arrivare in via Cherubini il 17 maggio del 1972 quando Adriano Sofri, Ovidio Bombressi, Giorgio Pietrostefani e Leonardo Marino fanno finire a 34 anni la vita del commissario Luigi Calabresi… A Sesto San Giovanni un mio amico, il maresciallo di polizia Sergio Bazzega e il vicequestore Giovanni Vittorio Padovani, vanno ad arrestare il terrorista Walter Alasia che li massacra… Giangiacomo Feltrinelli viene trovato morto sotto un traliccio ucciso da un’esplosione (ricordo la sua camera ardente: un mare di forsizia dal profumo addirittura soffocante)… Gianni Agnelli partecipa, mescolato tra la folla, ai funerali di Senatore Borletti…».
Mai ricevuto minacce?
«Certo. Dopo che inventai sul Corriere d’Informazione, su ordine di Cesare Lanza, una rubrica destinata al ristorante peggiore della settimana, il ”Faccino nero”. Telefonate anonime, insulti, minacce…Tra i miei amici, anzi, un maestro, c’era Franco Tommaso Marchi, segretario generale dell’AIS, l’Associazione italiana sommelier e, prima, sottufficiale in Questura. Non so ora, ma mezzo secolo fa, i poliziotti conoscevano bene la malavita e, a volte, ne raccoglievano le confidenze. Un giorno mi fa: ”Sai che volevano ammazzarti per un tuo Faccino Nero? Poi li ho pregati che ti sparassero addosso ma senza farti fuori. In un secondo momento, gli dissi che al massimo ti sparassero alle gambe. Infine, li convinsi che sarebbe stato meglio lasciar perdere, tanto il ristorante andava avanti uguale”. Chiesi quale fosse il ristorante. La Vecchia Milano. Il proprietario? Il boss Francis Turatello».
Tra tutti, il caso più straziante?
«La diciottenne Cristina Mazzotti, 18 anni, studentessa del Carducci: rapita, sequestrata, massacrata dagli stenti e gettata in una discarica dai rapitori che volevano il riscatto; Paolo Giorgetti,16 anni, rapito a Meda e trovato morto in un’auto incendiata. Tutti giovani, innocenti, straziati… E Laura Orsi, ennesimo caso mai risolto. Assassinata e gettata nel fiume con un peso che la facesse sparire per sempre. Viveva con la famiglia in una casa di proprietà di Carlo Saronio, ucciso dai brigatisti».
Come lavoravano carabinieri, polizia, magistrati?
«A parte la perfezione tecnica della filmistica americana, i mezzi, le apparecchiature per le indagini, in cinque decenni hanno fatto passi da gigante… Degli Anni Settanta non vorrei disprezzare il colonnello dei carabinieri Rossi, i super poliziotti Achille Serra, Antonio Pagnozzi,Vito Plantone, Francesco Colucci… Ma credo che si dovesse lavorare solo o comunque soprattutto su fiuto, caparbietà e confidenze…».
Possibile che nessuno abbia messo in relazione tutti quegli omicidi di donne?
«Oggi, dopo mezzo secolo, credo, temo, che forse i reati, anche gli omicidi ”normali” fossero meno seguiti di quelli ”politici”: neri contro rossi, studenti che sparavano a poliziotti e carabinieri, gli agenti che rispondevano o sparavano per primi; le strade bloccate, i negozi saccheggiati… Gli Anni di Piombo, gli Anni Settanta, ahimè, coinvolgevano tutti e tutto, nel loro straziante crescendo».
Andrea Galli, corriere.it