Gli scrittori più insospettabili nascondevano segreti talvolta
scioccanti: Tasso aveva le allucinazioni, Manzoni balbettava
(di Cesare Lanza per LaVerità) Nel neonato 2021 farò una rassegna, temo, impopolare: non solo le pubbliche virtù, ma anche e soprattutto i vizi privati dei più grandi e noti scrittori. E perché avverto questo timore? Mi preoccupano soprattutto gli insegnanti e gli studiosi di letteratura! In tutta la vita mi è rimasto in mente un fastidioso ricordo della professoressa di italiano in quarta ginnasio. Mi interrogò su Dante e io temerariamente incominciai così: «È indubbio che la Divina Commedia sia il più grande capolavoro». E la prof subito mi interruppe e strillò: «Torna al banco… Non voglio ascoltare queste stupidaggini! In dubbio il capolavoro di Dante? Ma chi te l’ha detto, come puoi dirlo». Mi annunciò un devastante 2 e fu impossibile convincerla che avessi detto il contrario. Avrei voluto cominciare la rassegna proprio con Dante, il poeta italiano più famoso nel mondo, ma ho preferito rinunciare a causa di questo pessimo incidente, mai dimenticato. Eppure avevo in mente un libro, poco famoso ma importante, di Giovanni Papini, un prestigioso letterato, fondatore di riviste storiche come Leonardo, La Voce e Lacerba. Il libro si intitola La leggenda di Dante, vizi e debolezze del Sommo Poeta: pubblicato nel primo Novecento, con una serie di testimonianze, raccolte da Papini, sui difettucci del celebratissimo autore della Divina commedia: permaloso, goloso, villano (e passi!), ma anche spione, frequentatore assiduo di prostitute, mago, umiliato per la presunzione. Rinvio Dante a una delle prossime puntate o a conclusione della rassegna, in cui vi proporrò numerosi personaggi, spesso insospettabili. Mi sono giocato del conforto di uno straordinario librino, Vite segrete dei grandi scrittori italiani di Lorenzo di Giovanni e Tommaso Guaita, con divertenti illustrazioni dello stesso Guaita: è una raccolta di aneddoti e curiosità sui vizi, le manie e i tic dei grandi autori della letteratura italiana. È la dimostrazione che anche i grandi scrittori, prima che poeti e narratori, sono uomini e donne come noi, con le loro debolezze e imperfezioni. Con i fatti un po’ più curiosi, intimi e privati dei vari letterati italiani di tutti i tempi, si scoprono abitudini e aspetti sorprendenti della loro personalità. Dante Alighieri, rieccolo, si trastullava, scambiando insulti in rima con gli amici, o stilava nel tempo libero le liste delle femmine più avvenenti di Firenze.
Boccaccio commentava i libri banali e scialbi che non gli piacevano, con disegni volgari. Silvio Pellico in quasi dieci anni di prigionia nello Spielberg, si divertiva ad ammaestrare formichine e ragni. In libertà era invece terrorizzato dalle ombre e, quando gli capitava di guardare sotto i mobili o negli angoli bui, era convinto di vedere tante piccole vecchie che gli facevano delle smorfie di scherno. Giosuè Carducci era un appassionato di briscola e scopone scientifico: forse era una schiappa nei giochi di carte e si imbestialiva, se considerato tale, assai più che per una stroncatura a seguito di una sua poesia. «Ditemi pure che non so far versi ma non dite che non so giocare a scopa», disse una volta a un suo antagonista in osteria. Verga passò la vecchiaia al bar del suo quartiere a giocare a biliardo o appoggiato al tavolo a guardare la strada, per ammirare graziose femmine che passavano. Italo Calvino, nel suo ufficio in casa editrice Einaudi, rosicchiava letteralmente penne e matite, al punto che Cesare Pavese, irritato dal rumore, lo chiamava «scoiattolo». È risaputo che Giacomo Leopardi era golosissimo di gelati, ma anche di tarallucci, cassatine, spumoni, sorbetti e mantecati: lo scrittore Alberto Savinio, indagando a fondo su questa sua debolezza, scrisse in una rivista che il poeta recanatese era sicuramente morto di quella che i napoletani chiamano «a’ cacarella». Il professor Pascoli, invece, si sbronzava anche prima di andare a scuola, e a volte, durante lo svolgimento delle lezioni, cadeva, con la testa annebbiata dai fumi del cognac, in un improvviso sonno alcolico. Italo Svevo era un fumatore accanito come lo Zeno del suo romanzo: riusciva anche a fumare sessanta sigarette al giorno. Ma il recordman tra gli scrittori fumatori fu Salgari, capace di arrivare a cento sigarette giornaliere. Con il fumo, però, colui che si spinse più avanti, anche se solo in un’occasione, fu l’insospettabile Ungaretti che, durante una festa, provò a fumare marijuana. Ne rimase profondamente deluso e commento che era sicuramente meglio «drogarsi di poesia» Marinetti manifestò la sua indole irrequieta, ribelle e futurista già da bambino: aveva l’abitudine di abbassarsi i pantaloni e di affacciarsi alla finestra o al balcone di casa, rilasciando un getto di piscio sui malcapitati passanti.
Oriana Fallaci diede i primi segnali di ribellione addirittura prima di nascere, mentre ancora sguazzava nel liquido amniotico: la madre aveva deciso di abortire e ogni giorno tracannava a questo scopo un bicchiere di acqua e sale, finché, dopo una capriola uterina, Oriana non le fece cambiare idea e la mamma decise di tenersi la figlia, portando a termine la gravidanza. Anche i grandi letterati, come tutti gli esseri mortali di questo mondo, soffrirono di malattie e ossessioni di vario tipo. Alcuni di loro manifestarono i primi disturbi fin dall’adolescenza. Alfieri provò un goffo tentativo di suicidio all’età di sei anni. Aveva saputo dell’esistenza di una pianta velenosa, la cicuta: un giorno scappò da casa di nascosto dalla madre, si mise a strappare l’erba del prato e la ingurgitò, sperando che in quelle zolle strappate a mani nude ci fosse anche la pianta mortale. Ma il tentativo fallì miseramente e il piccolo Vittorio Alfieri riuscì a procurarsi soltanto una banale indigestione e qualche conato di vomito. Anche Ugo Foscolo ebbe sbalzi d’umore fin da piccolo e una volta fu cacciato dal collegio perché aveva picchiato due maestri. I genitori provarono a curare questo suo caratteraccio somministrandogli una strana terapia a base di vino, che però, ebbe solo l’effetto di procurargli sbronze tristi e scatti d’ira. Torquato Tasso soffrì di bizzarre strane forme di allucinazioni: vedeva folletti che gli aprivano i cassetti e gli rubavano la cena.
Ma il più problematico fu Alessandro Manzoni che aveva mille tic e disturbi: soffriva di agorafobia, era ossessionato da alcuni rumori, tra cui il cinguettio degli uccelli, ed era afflitto da un balbettamento che non gli permetteva in alcun modo di parlare in pubblico. Carlo Emilio Gadda era ossessionato dalle feci: nei suoi libri le descrisse come dei dolci: «merde mandorlate come torroni secchi», «merde imbimbite come babà», escrementi di gallina che diventano «cioccolatini verdi» o «bonbons». Pirandello, dopo aver avuto a che fare per tutta la vita con una moglie folle, negli ultimi anni fu colpito da demenza senile: un giorno a tavola, circondato dai nipotini, borbottò: « Virrì, virrivivì, enchirichiticchiù e firticchiu», lasciando straniti i commensali. Nel libro si incontrano, poi, scrittori in preda a istinti sessuali irrefrenabili, spesso animaleschi. Niccolò Machiavelli si sfogava con prostitute alla buona, come la bella signora di Ponte alle Grazie pronta a soddisfare le sue voglie. Un giorno fu preso da una «foia» così insaziabile che, non trovando niente di meglio, si accontentò di appagare il suo appetito sessuale con una vechia ribalda, benché questa avesse «le coscie vize et la fica umida, gli occhi storti, la bava alla bocca, pochi capelli pidocchiosi e un’orribile peluria sul volto et che le putissi un poco el fiato». Goldoni si faceva prendere dal desiderio anche in pubblico, amoreggiando tra i canali veneziani sotto gli occhi indiscreti dei barcaioli. L’erotomane D’Annunzio aveva la mania di fare strani regali alle sue amanti; dopo aver tagliato i capelli o i peli dei baffi, durante la toletta, li riponeva in una scatola per donarli a una delle sue donne. Con una di queste, Olga Levi Brunner, fece addirittura di peggio: le regalò un suo fazzoletto, dopo averlo vergato a modo suo con del liquido seminale. Pavese, durante il confino solitario in Calabria, quasi impazzì, preso da voglie sessuali bestiali, come testimoniato da una lettera scritta alla sorella: «Ho notato che le scrofe, qui numerosissime, viste di dietro hanno una somiglianza impressionante con la vista di dietro delle signorine in genere. Son tentato di condurmene una a letto per compagnia.» Riguardo, infine, alle attività sportive praticate, quasi tutti i grandi letterati furono sedentari.
Tra le eccezioni figura Pier Paolo Pasolini, che faceva molto sport e giocava bene a calcio: era molto agile con la palla tra i piedi e fu anche tra i fondatori della Nazionale Attori. Un paio di volte ho giocato contro di lui. Era un centrocampista molto forte, ma corretto. Conservo una splendida fotografia in cui io e lui saltiamo sotto una fitta pioggia, con i capelli al vento, duellando per colpire il pallone di testa. Lo stesso non si può dire del vate D’Annunzio che non riuscì in alcun modo ad appassionarsi al calcio, appena importato dall’Inghilterra: sulla spiaggia di Francatila al primo contatto con il pallone cadde rovinosamente a terra e si ruppe due denti. L’unico scontento, alla fine, rimarrà forse il povero Pavese. I due giovani autori di Vite segrete dei grandi scrittori italiani, infatti, non sembrano aver ascoltato l’ultimo suo desiderio prima di suicidarsi, quando lasciò scritto sulla prima pagina del suo libro Dialoghi con Leucò, che si trovava sopra il comodino accanto al letto in cui fu ritrovato cadavere: «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono, ma non fate troppi pettegolezzi». (Marco Adornetto). C’é molto da curiosare, scoprire e scrivere – ovviamente anche sui famosi scrittori stranieri: William Shakespeare, Virginia Wood, Louisa May Alcott, Franz Kafka, James Joyce, Ernest Hemingway, Truman Capote, Stephen King… Appuntamento a domenica prossima.