(di Tiziano Rapanà) Un libro ha fatto il suo debutto in società. È un testo fondamentale per chi vuole capire il Dna della romanità. Il volume si getta a capofitto alla scoperta di una Roma raccolta, dentro la città dei quartieri e dei vicoli, degli angoli ombreggiati e delle fontanelle. Il tutto attraverso le presenze femminili che mostrano la personalità dei quartieri, che sono stati luoghi di nascita, crescita, semi di riscatto o cambiamento per le donne. Si tratta dunque di un florilegio di storie tutte al femminile a opera di un maschietto. Si chiama Paolo Geremei ed è un regista dal talento luminoso. In passato ha fatto l’aiuto regista e segretario di edizione. Ha lavorato con i fratelli Taviani, Renato De Maria, Leone Pompucci, Andrea Manni, Patrice Leconte, la lista è lunga. Suoi sono tanti lavori televisivi di fiction e di carattere documentale. Forse molti di voi lo conoscono come regista del sequel di Din Don, la saga televisiva interpretata dai due giganti della comicità romana Enzo Salvi e Maurizio Mattioli. Venti storie, venti donne, venti modi di declinare al femminile la romanità. Geremei è bravo e il suo nome lo sentirete spesso nelle manifestazioni, che celebrano la cultura. Seguite il mio consiglio e andate ad acquistare, nei negozi online, la vostra copia di Romane(Golem Edizioni, 10 euro). I cultori di Roma e della sua anima multiforme hanno trovato pane per i loro denti. Concludo con un quesito: il libro riuscirà a gareggiare per il premio Strega? Agli amici della domenica l’ardua sentenza. Nel frattempo, leggete la simpatica intervista a Geremei.
Sei consapevole che, con Romane, stai per diventare un idolo in città?
Posso fare un gesto scaramantico?
Parlami del libro.
È una raccolta di biografie di romane immaginarie, 20 donne che vivono nei vari quartieri della capitale.
Immaginarie fino a che punto? Cosa c’è di vero, verosimile o inventato?
Vedilo come un mix di donne che ho conosciuto, amato, amiche, o donne che mi hanno raccontato la loro vita. Ho fatto uso dell’esperienza e della fantasia.
Come hai impostato il racconto biografico?
Non è una biografia canonica, non c’è il racconto della vita. Il libro raccoglie delle istantanee delle vite delle mie protagoniste. Di queste donne vedrai un quadro psicologico e non cronologico.
Qual è il quartiere di Roma che preferisci?
Istintivamente ti direi Aventino, ma non voglio cadere nel vortice della banalità. Recentemente sono stato attratto dalla vitalità del periferie. Due su tutte: il Quarticciolo e il Tufelllo che ho raccontato nel mio libro. Tra l’altro il Tufello è stato il quartiere che ha visto crescere il grande Gigi Proietti.
Perché ti piace il Quarticciolo?
È un quartiere di resistenza, di lotta, dove puoi ritrovare la verità del rapporto umano.
Cos’è per te Roma?
È una medusa che ti attrae, ti rimane appiccicata. La ami con tutti i pregi e difetti. Adoro questa città, anche se – a onor del vero – sono stato più produttivo altrove. In fin dei conti, Roma è come una fidanzata che non riesci a lasciare mai.
Qual è il tuo rapporto con la cucina romana?
Buono. Mangio tutto: cacio e pepe, carbonara. Non amo le interiora.
Vorrei un tuo ricordo sull’esperienza con i fratelli Taviani.
Posso solo parlare bene di loro. All’epoca feci il segretario di edizione, una volta – al ristorante – mi presero da parte e mi dissero: “Paolo ci sembra che tu abbia in mano il film, continua così”. Fu un gesto che ancora oggi ricordo spesso.