«Auspichiamo che anche il governo e il parlamento italiano vogliano recepire al più presto l’articolo 15 della direttiva Copyright, una misura che, senza alcun costo per lo Stato, potrebbe contribuire ad alleviare la crisi del settore, prevedendo espressamente che, in caso di mancato accordo in un termine prestabilito, intervenga l’Autorità di settore a definire le condizioni, anche economiche, della utilizzazione dei contenuti da parte delle piattaforme digitali»: con queste parole Andrea Riffeser Monti, presidente della Federazione italiana editori di giornali (Fieg), ha accolto e rilanciato la soluzione trovata in Francia, che obbliga sia i motori di ricerca alla Google sia gli aggregatori di notizie online a trovare entro tre mesi un accordo con gli editori, sul diritto connesso a essere pagati per l’utilizzo web dei contenuti da loro stessi creati (vedere ItaliaOggi del 10/4/2020). In particolare, Oltralpe sarà l’Antitrust francese a seguire il confronto tra le parti in modo che non ci siano prese di posizioni a ostruire il buon esito delle trattative che, quindi, dovrebbero concludersi a inizio del prossimo luglio.
Ma quale è la situazione italiana rispetto a quella francese? La risposta è nelle parole del presidente Fieg «al più presto» e «in caso di mancato accordo», perché intanto nella Penisola la legge di delegazione europea (comprendente la direttiva Ue 2019/790) è stata approvata a fine gennaio scorso dal consiglio dei ministri ma al momento, in parte a causa del coronavirus, è ancora all’esame del senato. In secondo luogo, l’attenzione tricolore si concentra sull’individuazione di un’Autorità terza legittimata a intervenire a mo’ di arbitro (nella realtà dei fatti a sostegno della parte con minor potere contrattuale, gli editori). Il ruolo, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, potrebbe essere svolto dall’Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, anche se ci sono ancora i nuovi vertici da nominare) o anche dall’Antitrust (come in Francia). Certo è che, in tempi di crisi sanitaria col drastico calo pubblicitario, l’arrivo di nuove risorse liquide male non farebbe al comparto editoriale. Tanto che Carlo Perrone, presidente Enpa (European newspaper publishers association), ha ribadito la necessità di «procedere con urgenza e con ogni modalità utile all’attuazione di una normativa che può contribuire a riequilibrare la differenza di valore tra stampa e piattaforme digitali, specie oggi che stiamo sperimentando quanto sia importante la differenza fra notizie false e giornalismo professionale».
Quali saranno invece le posizioni delle parti, ammesso che si riescano a sedere a breve intorno a un tavolo? Difficile dirlo ora, perché la materia è complessa e richiederà tempo per essere districata. Basta scorrere il disegno di legge (ddl) in materia di delegazione europea 2019, agli articoli 8 e 9, che richiede nel dettaglio la definizione innanzitutto di chi e per cosa è dovuta la remunerazione, ma soprattutto non dimentica casi particolari e possibili eccezioni. Non a caso, visto che poi Google ha avviato trattative dirette coi singoli editori in Francia (vedere ItaliaOggi del 15/2/2020) ma perlopiù con big come Le Monde e Le Figaro. Quindi un futuro tavolo italiano servirà, in particolar modo, a far valere concretamente l’obbligo di essere pagati per tutte le aziende, grandi e piccole che siano. In Francia, un modello allo studio (su indicazione del motore di ricerca Usa) è quello di remunerazioni diversificate per fasce, a seconda del peso sul mercato del singolo editore. Schema che non è escluso possa essere riproposto e utilizzato pure nella Penisola.
Marco A. Capisani, ItaliaOggi