«Con Marina eravamo poli opposti. E fu subito attrazione indissolubile»
Apprezzato intellettuale, personaggio politico, instancabile seduttore: «Lei era un uragano, io temevo di essere travolto. In un museo mi spaccò una tibia per gelosia Mia mamma pensava che fosse squilibrata»
(di Cesare Lanza per LaVerità) «Una così, o la si lascia o la si prende. Io l’ho presa», mi disse una volta con convinta passione. Si riferiva alla celebre, popolarissima moglie Marina, in una conversazione per me indimenticabile. Forse è stato famoso soprattutto per quel suo romanticissimo matrimonio. E tuttavia il marchese Carlo Ripa di Meana non era certo una figura secondaria, ma un protagonista della complessa società italiana: un apprezzato intellettuale, un personaggio politico, un ambientalista e come tale ministro dell’Ambiente, è stato parlamentare europeo e ha avuto altri incarichi istituzionali importanti. Carlo era nato a Pietrasanta (Lucca) il 15 agosto 1929. Secondogenito di sette fratelli, è stato anche portavoce dei Verdi e presidente di Italia nostra. E infine – caratteristica non secondaria nella sua identità anche un instancabile (e invidiato) seduttore. Ho trovato in un cassetto gli appunti di quella mia conversazione, che risale all’inverno del 2002. Carlo, con la bonaria, affabile ironia che lo distingueva, accettò di parlare senza reticenze di lui e di Marina. Era una gelida mattinata di gennaio. Ci incontrammo in un salotto dell’hotel Minerva di Roma, dove avevo già raccolto le piccanti confidenze di Anna Kanakis e Carmen Llera sulla loro vita amorosa. «Sarò sincero anch’io», mi disse gentilmente.
– Allora ti prego di aiutarmi a capire il mistero antropologico che riguarda te e Marina.
. «E quale mistero mai?»
– Vi incontrate, più o meno, un quarto di secolo fa. La tua fama di maschio seduttore è dilagante. Le sue prodezze di femmina seduttiva fanno la gioia dei giornali e dei salotti. Vi mettete insieme, tutti pensano a un divertissement stagionale, e – invece – succede un miracolo: di lustro in lustro l’unione di due campionissimi della seduzione e della trasgressione «tiene». Non è scossa da tempeste. Appare infrangibile. Com’è stato possibile?
«Eravamo due poli agli antipodi. Abbiamo cercato di avvicinarci, con un certo rispetto l’uno dell’altro, provando a mantenerci diversi. Nessuno dei due ha cercato mai di evangelizzare l’altro. E nessuno dei due si è mai sentito subalterno».
– Un miracolo, appunto.
«Non è stato facile. Ho sempre in mente due fotografie, che rappresentano meglio di tanti discorsi il mio stato d’animo, che definirei di lieto timore, nei riguardi di Marina. Nella prima siamo sul Canale della Giudecca a Venezia, all’inizio della nostra relazione: lei è allegra, ottimista; io, con evidenza, preoccupato».
– E perché?
«Marina era un uragano, io temevo di essere travolto. Mia mamma, che poi invece le ha voluto molto bene, pensava che fosse squilibrata».
– E nella seconda fotografia?
«Siamo affacciati a un piccolo verone, ancora a Venezia: appena usciti dal letto, lei bellissima con una camicia di raso amaranto, io un po’ cisposo, sconcertato. Forse non ancora ben cosciente di quello che ci stava succedendo. Lei è una natura incendiaria…».
– E dunque? Non sei scappato?
«Ho avuto mille volte la tentazione di farlo. Ma lei ti trascina in una tale passione, esprime un tale desiderio di amore da coinvolgerti senza scampo: è impossibile liberarsi. Impossibile contenerla. Non c’è che affidarsi».
– E la tua qualità, per convivere con lei, giorno per giorno?
«Forse il carattere low profile, ironico, sdrammatizzante. Penso di averla aiutata a crescere, dopo le sue sparate».
– Anche per gelosia…
«Il suo esordio fu violentissimo. Eravamo a Parigi, all’inaugurazione del centro Pompidou. Io ero presidente della Biennale, in compagnia di Michel Guy, ministro della Cultura e con Jacques Chirac, allora sindaco di Parigi. Al mio fianco Gae Aulenti, a cui ero legato. Arrivò Marina, gelosissima, e senza una parola mi inflisse un calcio alla gamba sinistra: mi spaccò la tibia. Sotto gli occhi di tutti.»
– Un grande scandalo?
«In primo luogo un dolore terribile. Una gamba spezzata!».
– Quale fu il tuo pensiero in quel momento?
«Mi dissi: sono in grave pericolo. E dopo un po’ ci fu un secondo fattaccio. Ancora a Parigi, nel ’77, per la presentazione della Biennale del dissenso. Io avevo avuto una storia dolce e tenera con una giornalista americana, Flora Lewis, che scriveva sull’Herald Tribune e sul New York Times. Arrivai con Marina e prendemmo alloggio in un bell’albergo, che poi cambiò nome, probabilmente per colpa nostra…»
– Addirittura!
«Decisi di andare da Flora, che aveva una bellissima casa in rue de Solferino».
– Marina sapeva di questo flirt?
«Sapeva e non sapeva… Rimasi da Flora un po’ più del previsto… Quando tornai in albergo, da lontano vidi le auto della polizia, una piccola folla di persone… Pensai subito a un fatto di sangue. Il portiere mi corse incontro con le mani tra i capelli… “Madame, madame…”. Mi sentii ghiacciare il sangue! Marina aveva distrutto letteralmente la nostra camera, buttando tutto dalla finestra e dalle scale. Aveva spaccato specchi, vetri, oggetti, mobili, lampade: c’erano schegge di vetri dappertutto, e anche un lago di sangue perché Marina si era ferita, un disastro indescrivibile. Il chiasso, la polizia, le indagini… Marina aveva buttato dalla finestra anche le mie valige… Fu una fortuna, il lancio non aveva provocato morti e feriti, ma le valige – bellissime – non furono mai ritrovate. Rubate da qualcuno che approfittò del trambusto».
– E quale fu la tua reazione?
«Pensai: una donna così o si lascia o si prende. E la presi.» Gli chiesi se anche lui avesse avuto intemperanze. «No, io sono calmo: l’elemento di equilibrio. Però una volta le tirai un paio di schiaffoni. Successe nella nostra casa a Campagnano. In un week end lei si esercitava intenzionalmente, da vera teppista, a contraddirmi su qualsiasi cosa. Una lenta e lunga ossessione. Persi la pazienza e le mollai due sberle. Ricordo il suo urlo terrificante: mi hai sfondato il naso! Non era vero, naturalmente. E ricordo una pantera, che mi si rovesciò addosso e mi buttò a terra: era sua figlia, Lucrezia, accorsa a difendere la mamma». Ma volevo sapere di più. «Io, a Parigi e in altre occasioni, ho capito di avere una missione: salvarle la vita. Lei, senza di me, era in pericolo di vita. A parte la mia gamba spaccata, la camera distrutta, le vere ferite erano le sue… Capivo che Marina aveva bisogno di me. Io le ho dato equilibrio. E lei mi ha dato slancio vitale. Marina è sincera e diretta, come mai nessuno nella vita. Non si fa intimorire da nessuno e non arretra di fronte a niente. Io temo questo carattere. Ma allo stesso tempo sono vinto dalle emozioni che mi dà, sono assolutamente legato alla sua energia. Non ci si annoia mai con lei. Anzi, si sta sempre un po’ allertati».
– Dimmi ora della tua gelosia.
«La gelosia è riferita al passato. Con Marina non ne abbiamo mai parlato esplicitamente, ma io sento, avverto che il vero grande amore della sua vita non sono stato io, bensì Franco Angeli. Lei lo ha amato in modo impetuoso e incondizionato. Io nella sua vita non sono riuscito ad occupare lo spazio che ha avuto Angeli.»
– Ma davvero ti senti secondo? Non è un messaggio per farti consolare?
«No. Non sono abituato a nascondermi la realtà. Da frasi, ricordi, sensazioni, capisco bene la profondità del legame che Angeli e Marina hanno avuto. Per otto indimenticabili anni. E del resto era ovvio: erano giovani, bellissimi, sregolati… Lui era un grande artista. Io riconosco il fascino, la superiorità di chi ha il dono di creare, apprezzo i valori artistici, rispetto alla passione politica. Perché, pur avendo fatto politica, non ho grande stima dei politici. E ho sempre cercato di frequentare artisti e creativi. E dunque mi sento secondo, nel cuore di Marina, rispetto ad Angeli. Sentimentalmente vorrei che non fosse così, ma intellettualmente capisco che questa è la verità. E ne sono, amaramente, geloso.»
– Ma con la vocazione trasgressiva che avevate, possibile che in tanti anni non vi siate concessi almeno qualche capriccetto?
«Le storie di Marina, se vi sono state, io non le conosco. Io ne ho avuto una sola, che si è incuneata tra me e Marina, e ne do conto qui. Non eravamo ancora sposati, ci trovavamo in una bella casa in Sardegna, ospiti di amici. C’era anche una donna che mi piacque subito moltissimo, Sibilla Melega, l’ultima moglie di Giangiacomo Feltrinelli. Nasce subito una forte attrazione, qualcosa che mi prende… Me ne vado con lei in Austria, ci rifugiamo in Carinzia, in una casa di Giangiacomo, per varie settimane. Una sorta di fuga senza spiegazioni, da clandestini. Avevo lasciato credere, se ricordo bene, di essere partito per la Spagna…».
– E lei, Marina, sapeva? «Sapeva e non sapeva. Non aveva capito, ma c’era certamente qualche sospetto».
– E come finì? «Mia madre mi riportò alla ragione, alla mia coscienza».
– L’aspetto sessuale è stato importante? «Lo è stato e lo è, nonostante l’età».
– È stato importante, con Marina? «Certamente, lo è stato e lo è. Marina è la donna che ho amato di più».
– Lei potrebbe essere sostituita nel tuo cuore? «No, non più.»
– E tu ti senti sostituibile, nel suo cuore?
«Io so che è meglio stare sempre allertato.»
– E se Marina ti lasciasse?
«Tornerei a essere un nomade, com’ero quando l’ho conosciuta.»
Fu amico di Luciano Bianciardi, che gli dedicò il suo capolavoro La Vita agra. Dal 1974 al 1979, presidente della Biennale di Venezia, riformata dopo la contestazione studentesca. Si avvicinò al segretario Bettino Craxi con cui ebbe rapporti personali, al punto di chiedergli di essere suo testimone di nozze nel matrimonio con Maria Elide Punturieri, nota come Marina Lante della Rovere. E Marina, divenuta Ripa di Meana, dopo una lunga malattia, muore nel 2018. Carlo si spegne dopo due mesi, a Roma, il 2 marzo 2018. Nel 2010 aveva adottato Andrea Cardella, il giovane assistente suo e di Marina. Un giorno gli aveva confidato: «Marina… inutile pensare chi prima, chi dopo… sono sicuro che, quando sarà, noi ci incontreremo dall’altra parte e ci rimetteremo insieme».