Amò donne e uomini ma non riuscì a conquistare Gardel
A grande cantante respinse il suo corteggiamento. Le due mogli lo piantarono, accusandolo di essere impotente e senza ardore
(di Cesare Lanza per LaVerità) Un latin lover tuttora celebrato in tutto il mondo: occupa uno spazio inviolabile nella storia del cinema, è un personaggio leggendario, morto in età giovanissima dopo strabilianti successi. Di Rodolfo Valentino hanno scritto che andava al di là di entrambe queste due definizioni, un supereroe del sesso sia nella finzione sia nella vita. L’erotismo esplodeva sullo schermo, talvolta solo suggerito, spesso mostrato apertamente con baci appassionati, gesti lenti, balli sensuali, carezze audaci e sguardi rapinosi. Era molto intelligente e autocritico. Di sé ha detto: «Le donne non sono innamorate di me, bensì dell’immagine che hanno di me sullo schermo, lo sono soltanto la tela su cui le donne dipingono i loro sogni». E ancora: «Un uomo dovrebbe avere il controllo della propria vita, ma per me succede l’esatto contrario». Era anche sentimentale, romantico: «Per gli occhi di una donna, si può anche andare in galera». E quando era alla fine: «Non tirate giù le tendine. Mi sento bene. Voglio sentire la luce del sole». Ha incassato anche giudizi critici di estrema perfidia, maldicenze, cattiverie. Nel 1926, un cronista del Chicago Herald Examiner, lo irrise così: «È un piumino per cipria rosa, un dandy effeminato, corruttore dei costumi americani». E molti altri costruirono ricostruzioni verosimili ed esagerate, evidenti invenzioni sulla sua presunta e sfrenata omosessualità, a dispetto delle celebratissime qualità di conquistatore di cuori (e corpi) femminili. Scrissero che aveva scelto o accettato amori interessati e mercenari, prima per mantenersi in America e poi per fare carriera.
In una biografia scandalosa, A dream of desire, di David Bret, si sostiene che Valentino era «gay per inclinazione naturale e bisessuale per convenienza finanziaria». Sarebbe stato coinvolto in amori omosessuali
Ma vediamoli, i rapporti del mitico Rodolfo, con le donne. Inizialmente Valentino si infiammò per le ballerine Bonnie Glass e Joan Sawyer. Un rapporto sentimentale, ma anche di lavoro. Soprattutto con Bonnie che, grazie alla sua fama, lo aiutò a cercare e trovare il successo. Si dice che lo ingaggiò come taxi dancer- ovvero ballerino a pagamento – per 50 dollari alla settimana. Anche i suoi primi passi nel cinema li mosse grazie a una donna: la sceneggiatrice June Mathis. Aveva fama di essere una delle donne più potenti del cinema, stava lavorando alla sceneggiatura di Quattro Cavalieri dell’apocalisse e propose perla parte di Julio, il protagonista, quell’italiano dal fascino straordinario ma completamente sconosciuto. «Grazie alla Mathis, dunque, il bel Rodolfo impose il mito dell’amante latino, da subito venerato da milioni di donne. I suoi passi di tango nel film rimasero leggendari». Sono le sue due mogli a rafforzare le insinuazioni su Rodolfo Valentino attratto da giovanotti muscolosi: raccontarono senza mezze misure, apertamente, la mancanza di ardore e di erotismo del loro affascinante marito. La prima moglie, Jean Acker, un’attricetta, ballerina di scarso talento ma piena di superbia, lo piantò dopo un mese, lamentandosi in varie interviste che le loro notti erano state tutte «maledettamente bianche». In realtà era una seguace di Saffo, amante della famosa e gelosissima attrice Alla Nazimova. Molto peggio andò con la seconda moglie, la perfida, stravagante, bellissima, straviziata e insopportabile Natascia Rambova (si fingeva russa e invece era nata a Salt Lake City e all’anagrafe si chiamava Winifred Kimball Shaughnessy), a infliggergli un colpo micidiale e a screditarlo di fronte al mondo. Lui era uno schiavo sentimentale di questa artista poliedrica (danzatrice, scenografa, costumista e sceneggiatrice), una donna dalla personalità forte e magnetica, che lo devastò sia economicamente che psicologicamente. Capricciosa ed esigentissima, lo dissanguò (nonostante fosse ricchissima di suo) con le sue pretese. Dai costosi cani alsaziani ai cavalli purosangue arabi, yacht e lussuose automobili, gioielli da sogno e abiti magnificenti. Valentino si indebitò per lei di una cifra colossale: 100.000 dollari degli anni Venti. Natascia gli fece terra bruciata attorno, litigando con produttori, costumisti, registi e truccatori e riducendo il celebre marito a un fantoccio tra le sue mani. Ma lui era troppo innamorato di lei e disse: «Io non sono solo un uomo innamorato: sono lo schiavo di mia moglie. E per lei affronterei non soltanto la galera, ma anche la morte». In galera Rudy ci finì davvero: sposando la Rambova fu accusato di bigamia in quanto il precedente divorzio dalla Acker non era stato ancora registrato e convalidato. Così la crudele Natascia lo lasciò dopo quattro anni di matrimonio e lo umiliò davanti al mondo definendolo «un impotente, una cocotte imbellettata», omettendo che anche a lei, come la precedente moglie, interessavano più le donne che gli uomini. Valentino non si riprese mai dalla straziante delusione e cercò conforto tra le braccia di un’altra diva dell’epoca, la bellissima attrice polacca Pola Negri. Scrivevano che Rodolfo a truccava gli occhi, curava i dettagli del vestire con una ricercatezza allora attribuita soprattutto alle donne, portava braccialetti a forma di serpente, e poi era così maledettamente seduttivo! Le donne, negli States, erano pazze di lui molto più che degli attori americani e questo, unitamente al fatto che lui non appartenesse alla «casta» dei Wasp (acronimo di White Anglo-Saxon Protestant) ed essendo Italiano, cattolico e pure di pelle scura, dava fastidio, molto fastidio alla upper class. La stampa quindi lo prendeva di mira e gli riservava critiche beffarde.
Valentino era nato a Castellaneta, in provincia di Taranto, il 6 maggio 1895 e morì a Manhattan, il 23 agosto 1926. Fu uno scolaro vispo ma svogliato, trascorse un’infanzia e una prima adolescenza serenamente
Al mio pezzo di Mescolanza su Rodolfo Valentino aggiungo alla fine, ha contribuito Daniela Musini.