Uber è in perdita ma a Wall Street varrà 100 miliardi di dollari. Ecco chi e quanto guadagnerà dall’Ipo dei record

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L’America si prepara a contare un buon numero di nuovi miliardari grazie all’imminente Ipo di Uber. La società che gestisce il servizio di trasporto automobilistico privato, alternativo ai taxi, ha depositato giovedì scorso la domanda ufficiale per la quotazione in Borsa. La data e il prezzo non sono ancora stati fissati, ma le attese sono per un’operazione a maggio che valuterà Uber circa 100 miliardi di dollari e che punterà a raccogliere a Wall Street circa 10 miliardi di dollari. Sarà la più massiccia Ipo del 2019 e una delle più grosse nella storia della Borsa americana.

Cifre impressionanti e anche inquietanti per una società che ha chiuso il bilancio 2018 con una perdita operativa di 1,8 miliardi di dollari e ha accumulato fra il 2016 e il 2018 perdite complessive per 10 miliardi. Tutti i dati di Uber, finora sconosciuti, sono stati messi a disposizione degli investitori nelle 300 pagine del prospetto che la società ha depositato alla Sec.

L’”autista” che da mesi sta guidando Uber verso Wall Street si chiama Dara Khosrowshahi. È un ingegnere di 49 anni di origine iraniana, arrivato negli Usa quando aveva 13 anni con tutta la sua famiglia, una delle più ricche dell’Iran, fuggita dalla rivoluzione di Khomeini. Khosrowshahi non sarà il principale beneficiario dell’Ipo, ma ne è l’artefice e il garante. Guida la società come ceo dall’estate 2017 e l’anno scorso ha ricevuto un compenso di 45 milioni di dollari, compresi 2 milioni spesi da Uber per la sua sicurezza personale.

A spingere per una rapida quotazione in Borsa sono i principali azionisti che non vogliono rischiare di perdere questa fase di mercato azionario Super-Toro. Le loro aspettative sono ben più succulente di quelle di Khosrowshahi. In prima fila c’è il fondatore ed ex ceo Travis Kalanick, primo socio privato con l’8,6% del capitale (117 milioni di azioni): se l’Ipo andrà in porto a 60 dollari per azione, il suo pacchetto avrà una valutazione di 7 miliardi, quanto basta per digerire il rospo di essere stato costretto alle dimissioni da ceo nel 2017, in seguito a una serie di scandali che lo hanno visto accusato di molestie sessuali e comportamenti violenti nei confronti dei dipendenti e degli autisti di Uber.

L’altro socio fondatore, Garret Camp, colui che ha inventato l’app per mettere in comunicazione i proprietari di auto con le persone che cercano un passaggio, ha il 6% della società e potrebbe vedere la sua quota valorizzata 4,9 miliardi di dollari.

Abbiamo ragionato finora sull’ipotesi che le azioni Uber, una volta in Borsa, valgano circa 60 dollari l’una. È l’ipotesi prevalente fra gli analisti di Wall Street, che calcolano questo prezzo anche sulla base della quotazione di Lyft, la società concorrente di Uber che si è quotata a fine marzo. Attenzione, però, che le quotazioni di Borsa sono per definizione volatili. Lyft è stata collocata a un prezzo di 72 dollari, ma in poche settimane è già scesa del 19% a 58 dollari. Un’altra azienda tech che ha deluso le aspettative è Snap, la società che possiede la piattaforma di messaggistica Snapchat: cinque mesi prima dell’Ipo era valutata 40 miliardi di dollari. Quando poi nel 2017 sbarcò a Wall Street, il suo valore era dimezzato a 20 miliardi.

Uber adesso punta a una capitalizzazione di 100 miliardi, ma si sa che l’anno scorso Jp Morgan e Goldman Sachs, in corsa per accaparrarsi l’organizzazione dell’Ipo, avanzarono valutazioni di 120 miliardi. Secondo indiscrezioni che non trovano riscontro nel prospetto, una capitalizzazione di 120 miliardi è l’obiettivo vero che si è posto il ceo Khosrowshahi. Rumor dicono che il super manager parteciperà anche lui a questa orgia di miliardi di dollari, grazie a un piano molto cospicuo di stock option a suo favore, che però matureranno solo quando Uber toccherà a Wall Street quota 120 miliardi.

Il prospetto contiene l’elenco dei maggiori azionisti di Uber. Il principale, con il 16% del capitale, è SoftBank, la società di investimento in nuove tecnologie del miliardario giapponese Masayoshi Son. Softbank ha finora investito in Uber 7 miliardi di dollari, e a un prezzo di 60 dollari per azione la sua quota arriverebbe a valere 13,3 miliardi, quasi il doppio.

Masayoshi Son ha portato in Uber un altro grande investitore, che nel frattempo è diventato suo partner in altri progetti hi-tech: il principe Mohammed bin Salman, erede al trono dell’Arabia Saudita. È lo stesso Salman che secondo la Cia ha ordinato l’omicidio del giornalista del Washington Post Jamal Kashoggi, ucciso nel consolato saudita di Istanbul. Salman è presidente del Saudi Arabia Public Investment Fund, che nel 2016 ha comprato azioni Uber per 3,5 miliardi di dollari e ha piazzato un suo uomo, Yasir Al Rumayyan, nel board della società. Oggi la quota saudita, pari al 5,3% del capitale di Uber, a 60 dollari per azione varrebbe 4,4 miliardi di dollari.

Considerando che in questi anni Uber ha fatto diversi round di finanziamenti, raccogliendo fondi per oltre 20 miliardi di dollari, sono tanti gli investitori istituzionali che aspettano la quotazione per avere visibilità sul valore delle loro azioni Uber. Uno dei principali è il fondo Benchmark Capital, che sotto la guida del partner Bill Gurley ha investito anni fa 12 milioni di dollari. Oggi la quota di Benchmark Capital potrebbe valere 9 miliardi di dollari.

Ma quali sono i presupposti per cui Uber, che finora non ha guadagnato soldi, dovrebbe valere cifre così astronomiche? Come al solito, quando si parla di aziende tech a eccitare gli investitori sono le prospettive di crescita, frutto di proiezioni della crescita passata. E qui è lecito porsi qualche dubbio. Il bilancio 2018 di Uber si è chiuso con 91 milioni di utenti mensili, in crescita del 34% sul 2017. Ma l’anno precedente la crescita era stata del 51%.

Mettendo insieme le sue tre aree di attività, il trasposto di persone, la consegna di cibi (Uber Eats) e la logistica, Uber ha attivato nel 2018 un giro d’affari (gross bookings) di 49,8 miliardi di dollari. Il che vuole dire che in media ognuno dei suoi clienti ha speso 550 dollari all’anno per servizi di trasporto con autisti Uber. Di questa cifra, circa il 20% diventa ricavi per la società Uber: nel 2018 i ricavi sono stati 11,3 miliardi di dollari, in crescita del 42% sull’anno precedente. La frenata è netta rispetto al 2017, che aveva fatto segnare una crescita del 100% sul 2016.

Il prospetto evidenzia l’ottimo andamento di Uber Eats: il food delivery service ha mostrato entrate addirittura triplicate a 1,5 miliardi, mentre il core business del trasporto passeggeri in auto rallenta: addirittura negli ultimi sei mesi del 2018 l’andamento è stato piatto. Uber Eats rappresenta ora il 13% dei ricavi totali.

Infine, la valutazione di Uber non può non tenere conto di un rischio che nel prospetto viene addirittura definito “esistenziale”: il rischio che gli autisti, che oggi agiscono come liberi professionisti, debbano essere assunti come dipendenti, con tutto ciò che ne deriverebbe in termini di maggiori costi aziendali.

Franco Velcich, Business Insider Italia