Le mamme che lavorano in Giappone hanno ancora meno aiuti delle italiane

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Il congedo di paternità è lungo, ma lo usano in pochi e per pochi giorni. Le donne a casa sono a rischio depressione. Si occupano di casa e figli per 7 ore al giorno, gli uomini per poco più di una

Il giapponese, uomo, è grande lavoratore, ma non a casa propria. Anzi, a casa fa meno di qualsiasi altro uomo dei paesi industrializzati. Nel 2017 solo il 7,5 % dei giapponesi ha preso i giorni del congedo di paternità secondo i dati del ministero della salute perché è ancora un tabù per gli uomini restare a casa con i figli. Il tutto nonostante il congedo possa durare quasi un anno. In realtà anche chi lo prende lo fa per pochi giorni e torna subito alle giornate lavorative di 12 ore che sono la norma.

In Italia nel 2016 hanno usufruito dei pochi giorni di congedo il 17% degli uomini, nella virtuosa Svezia il 45%.

Non è un caso, secondo i demografi, che i tassi di natalità svedesi siano tra i più alti d’Europa mentre quelli italiani continuano a calare e il Giappone è fra i paesi con la popolazione più vecchia al mondo.

Il New York Times ha fatto una ricerca fra i giovani giapponesi e ha scoperto però che almeno nelle giovani coppie qualcosa sta cambiando. Il 29enne Hitoshi Sugiyama ha raccontato alla corrispondente del quotidiano statunitense di aver lasciato il lavoro perché era caduto in depressione per le troppe ore in ufficio. Aspetta un bambino, ha un lavoro meno faticoso e divide i lavori domestici con la moglie. Yuichiro Nishida, 29 anni, si alza alle 5 del mattino come la moglie e divide i compiti perché rientra prima di lei. Mette a letto il figlio dopo avergli fatto il bagno e la moglie non è a casa prima delle dieci della sera.

L’americano Jeremiah Sawma, 41 anni, ha descritto le aspettative lavorative maschili in Giappone talmente elevate da impedire loro di essere buoni padri e da costringere le donne a scegliere fra carriera e famiglia. Ha tre figlie con la moglie giapponese. È lui, insegnante, a fare parte dei lavori di casa, ma si considera un’eccezione. «Qui gli insegnanti lavorano moltissimo per richieste della scuola, ma anche per loro scelta. Sono quasi secondi genitori, ma i giovani faticano a crearsi una famiglia, in particolare le donne». Anche agli uomini non va bene perché se rinunciano a ore lavorative vengono demansionati o perdono posizione di carriera.

In Giappone manca ancora l’idea che gli uomini possano fare tutto quello che fanno le donne. Nelle famiglie tradizionali con uno o più bambini al di sotto dei 6 anni le donne passano con loro e nella cura della casa 7 ore e 30, gli uomini meno di un’ora e 30. I dati sono dell’ufficio giapponese per la parità di genere. Il gap è molto minore negli Usa per esempio anche se sempre a svantaggio delle donne che stanno 5 ore e 30 con i figli e gli uomini meno di tre.

Bonnie Li, 38 americana sposata con un giapponese, ha raccontato la costante battaglia con il marito che era sempre più impegnato con il lavoro, gli studi e gli hobby che con la figlia neonata. «Adesso non chiedo a mio marito di cucinare, glielo faccio fare e basta. A Natale gli ho detto che doveva fare una torta con le fragole con nostra figlia e lui non aveva mai fatto niente in cucina. È risultata una delle migliori che io abbia mai mangiato». Anche se suo marito la aiuta più della media degli uomini giapponesi, non avrà altri figli. Come la maggior parte dei giapponesi.

Chiara Pizzimenti, Vanity Fair