Christian Milone, lo chef-ciclista che cerca il futuro nel passato e nel territorio

Share

Il cuoco di Pinerolo racconta il suo modo di intendere la gastronomia e il legame con la sua terra e con le materie fondamentali, perché “i compromessi non mi piacciono”.

A Torino, da pochi mesi, Christian Milone vive l’ultima sfida, dal nome intrigante come Hafastorie. Ma nell’anima di questo giovane chef, classe ’79 con una passione grande così, c’è sempre quella Pinerolo da cui non si è mai allontanato e dove, oggi, regge salde le redini di Trattoria Zappatori. Lo circonda un territorio di ricerca, pure difficile, ma da cui deriva una filosofia di cucina che, insieme al talento, lo ha portato pochi mesi fa alla conquista dei due cappelli della Guida Espresso e della prima stella Michelin. Tradizione rivoluzionaria, sì, ma sempre con rispetto. Perché la cucina di Christian Milone dimostra che, talvolta, è dalla solidità del territorio e del suo tempo che nasce un futuro di sostanza. Destinato a durare.
La sintesi della memoria è protagonista (come gli agnolotti del plin nell’infusione di bollito e funghi) ma senza togliere nulla all’inventiva che sviluppa l’altra metà della sua filosofia, quella della ‘Gastronavicella’ carta gourmet dove tra forme, colori e ricerca trovano spazio lepre, rognoncini di coniglio e un territorio che bandisce gli integralismi. I principi di “dedizione, sacrificio e metodo”, Milone li ha allenati a lungo, correndo in bici da professionista. E li ha portati con sé in cucina. Tutto questo lo ha portato a non mollare mai, a scegliere di fare alta cucina a Pinerolo “dove le cose vanno molto meno di corsa rispetto a Milano e dove la semina è più difficile, perché la clientela va conquistata poco a poco”.
Come ha fatto lui: che, dopo la conquista della stella, ha addirittura ridotto il numero di tavoli e coperti, “perché dev’esserci ancora maggiore responsabilità”. Molti hanno cercato di fare alta ristorazione “ma poi hanno scelto altre strade. E’ una zona difficile, per anni si è cercato di puntare su queste terre il faro dell’attenzione e dell’alta cucina, e il territorio per anni ha atteso e basta. E’ una scommessa non semplice, perché qui comporta sacrifici anche maggiori e non tutti hanno le spalle larghe. Ma è tempo di farla rinascere questa terra troppo a lungo dimenticata, e le potenzialità ci sono. Bisogna fare squadra, e c’è chi ci crede: poco tempo fa un vicino ristoratore mi ha confessato che da quanto ho preso la stella, anche lui lavora di più. E’ il segno che si è creata attenzione e a vincere è, in realtà, un territorio che inizia a comprendere l’importanza di fare sistema”.
D’altronde il Piemonte è la terra dove nascono due tra le principali realtà dell’enogastronomia italiana, SlowFood e Eataly: “Ed è pazzesco. Perché ciò dimostra che quando si prende coscienza delle potenzialità di un territorio, si costruiscono grandi cose. Credere in sé stessi, credersi bravi, acquistare fiducia: anche questo è importante per raggiungere il traguardo”.
Filosofia e sostanza. Tanta, quella stessa che ha portato Milone a scavare, come un minatore del cibo, fino a riportare alla luce del successo gli ingredienti e le ricette: attualizzate, rese belle, fatte trendy ma senza tacere l’umiltà delle origini. Tranne le lamprede. Quelle, davvero, non si trovano più, e anche lo chef si lascia a un ricordo un po’ nostalgico: “Le ricordo al pranzo della mia prima comunione. Certo che vorrei reinserirle, ma i nostri corsi d’acqua le hanno perse. E non c’è cucina senza materia. I compromessi non mi interessano: il territorio è al centro, l’alta cucina ne esalta il valore. Senza cedere, ma lavorando per costruire”.

di Jacopo Fontaneto, La Repubblica