Il fondo presenta il conto, Unicredit svaluta l’80%. Messina: “Basta soldi da Intesa”
La seconda puntata del film sul salvataggio delle banche venete si gira in questi giorni. La sceneggiatura, e dunque se ci sarà un lieto fine oppure no, è scritta da Bce e Commissione Ue: la prima deve indicare il fabbisogno di capitale necessario affinchè le due ex popolari possano essere considerate solvibili e la seconda deve dare il via libera all’intervento statale nel rispetto della concorrenza e solo se le banche riusciranno a coprire con capitali privati le perdite pregresse o previste.
Nel frattempo, alcuni protagonisti della vicenda stanno perdendo fior di quattrini.
Il fondo Atlante ha evitato la risoluzione dei due istituti spendendo 2,5 miliardi nell’aprile 2016 cui si sono aggiunti altri 950 milioni all’inizio del 2017. Ma il conto presentato ai sottoscrittori è salato: Unicredit, si è scoperto ieri con la pubblicazione del bilancio consolidato, ha svalutato per quasi l’80% la propria quota in Atlante per 547 milioni. Complessivamente, secondo quanto ricostruito dall’agenzia Radiocor, le rettifiche effettuate dalle prime 12 banche italiane che hanno aderito ad Atlante sono pari a 1,01 miliardi, contro gli 1,98 miliardi effettivamente versati al fondo al 31 dicembre. A meno di un anno dalla nascita del fondo – che aveva raccolto 4,25 miliardi da banche, assicurazioni, Cdp e alcune fondazioni – la svalutazione media è stata quindi del 51,2% delle somme effettivamente versate. Corposa anche la rettifica del Banco Bpm (-59,8 milioni, ovvero -49,1% rispetto ai 121,7 milioni versati). Seguono Ubi (-73 milioni, -45% rispetto ai 162,2 versati) e Mediolanum (-17,1 milioni, -42,1% dai 40,6 milioni iniziali). Le altre due «malate» del sistema, Mps e Carige hanno svalutato rispettivamente per 10 milioni (-33,7% dai 29,7 versati) e 5,4 milioni (-33,3% da 16,2).
Camilla Conti, il Giornale