Gli scioperi, le incognite della Brexit possono essere l’occasione per ridisegnare gli equilibri del settore. Si torna a parlare di collegamenti con gli Usa. Si ipotizzano consolidamenti tra le compagnie minori e anche con quelle tradizionali
La Brexit rimescola le carte nei cieli europei e rischia di mettere in congelatore (almeno per un po’) il boom delle low-cost sulle rotte continentali. L’estate 2016 per Ryanair, Easyjet & C. era già partita con il piede sbagliato prima del referendum a Londra. I passeggeri, intendiamoci, continuano a crescere. Ma non più ai ritmi degli anni d’oro. Nel 2015, per la prima volta nella storia, la quota di mercato delle compagnie a basso prezzo sulle tratte intra-europee è scesa, scivolando dal 41% al 39%. Gli scioperi dei controllori di volo hanno mandato più volte in tilt nelle ultime settimane i loro operativi con conseguente caos negli aeroporti, specie per Vueling.
La vittoria del Leave al referendum di Londra è stata però il colpo di grazia. Easyjet, in un tourbillon di dichiarazioni e indiscrezioni spesso in contraddizione tra di loro, potrebbe essere costretta a chiedere una nuova licenza di volo a un paese della Ue per evitare di pagare un pedaggio salatissimo all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione. E i suoi titoli sono crollati del 25% alla City. Ryanair ha messo in stand by il lancio di nuovi voli dal Regno Unito – oggi il suo principale mercato – per almeno 12-24 mesi mentre i suoi soci si leccano le ferite dopo un crollo in Borsa del 20%. Nei prossimi mesi l’intero mondo delle low-cost potrebbe essere costretto a tirare la cinghia. E l’austerity potrebbe diventare, dicono gli esperti, l’occasione per ridisegnare la mappa del comparto, avvicinando il lancio dei voli transcontinentali a basso prezzo e accelerando l’ipotesi – fino a pochi mesi fa un’utopia – di alleanze commerciali con le aerolinee tradizionali in nome del comune obiettivo del profitto.
I guai della Brexit. Il corso dei titoli in Borsa non è il solo indicatore del potenziale di problemi aperto dall’esito del referendum inglese. La cifra che preoccupa di più i manager del settore aereo è un’altra: il possibile calo del 5,5% di passeggeri britannici legato al crollo della sterlina e ai guai dell’economia e l’effetto domino che la Brexit potrebbe avere su tutto il pil continentale e sulla coesione della Ue. Solo il 43% dei voli della Easyjet, per dire, non prevede il coinvolgimento di un aeroporto del Regno Unito e su numeri simili si attesta pure Ryanair. La seconda incognita è forse quella che preoccupa di più i manager del settore: che tipo di nuovo accordo verrà siglato tra Londra e Bruxelles in vista dell’uscita dalla Ue? In teoria la Gran Bretagna potrebbe rinegoziare le intese sulla falsariga di Norvegia, Svizzera, Islanda, Serbia e Kosovo che hanno libero accesso ai cieli continentali in cambio dell’ok a diverse regole commerciali della Comunità su altri fronti. Ma non è detto che il clima politico consenta di ottenere un risultato di questo tipo. Sulla carta il governo di Sua Maestà potrebbe negoziare rapporti bilaterali con i singoli stati, ma sarebbe una fatica di Sisifo. E in ogni caso – in attesa di un accordo finale – è possibile che saltino per Londra tutte le intese già scritte oggi con la delega all’Unione, inclusa quella transatlantica.
In teoria non tutto il male vien per nuocere. British Airways, per dire, potrebbe limitare l’accesso a Londra recuperando una sorta di monopolio sui voli per gli Usa, i più redditizi. Ma lo stesso le conseguenze legali dell’uscita sono in questo momento un rebus complicatissimo e di difficile soluzione sia per aerolinee tradizionali che per le low-cost.
I nodi per le low cost. Le reazioni a caldo dopo il voto del 23 giugno confermano comunque come Ryanair, Easyjet & C. sono oggi come oggi le compagnie più esposte alle turbolenze della Brexit. Arrivata tra l’altro in una congiuntura stagionale complicata. L’estate è per tradizione il periodo dove i voli sono più pieni (i due leader viaggiano con tassi d’occupazione ben superiori al 95%). Alcuni scioperi dei controllori del trasporto aereo hanno mandato nel caos gli operativi. I 344 aerei della flotta Ryanair e i 248 di Easyjet sono stati sufficienti per ammortizzare l’impatto senza troppi disagi per i passeggeri. Vueling invece, la terza forza del settore con 102 velivoli, è andata in difficoltà. Cancellando diversi voli e meritandosi in Italia una convocazione da parte dell’Enac per cercare di capire se dietro questi problemi ci fossero nodi strutturali più rilevanti. Gli choc di questa estate sono comunque destinati a lasciare segni profondi nell’organizzazione del settore. Easyjet, per ora, non intende spostare la sua sede dall’aeroporto londinese di Luton. Ma è evidente che non può permettersi di aspettare con le mani in mano l’esito dei negoziati sulla libera circolazione nei cieli continentali con Bruxelles. La prima mossa dei vertici della compagnia è stata così quella di chiedere una nuova licenza di volo in un altro paese della Ue (non è stato precisato quale) per lasciarsi aperta la porta a un possibile trasloco il più indolore possibile.
Ryanair ha formalmente sede a Dublino, quindi di problemi di questo genere non ne ha. Ma certo – con buona parte dell’operativo che gravita attorno alla capitale britannica – dovrà rivedere a fondo la mappa dei suoi collegamenti. La loro speranza è chiara: che questa sia solo una sorta di crisi di crescita. Certo, il calo della quota di mercato nel 2015 è un piccolo campanello d’allarme. Il business però tira ancora e per ora – con buona pace dei guai dell’Unione, i conti tornano: Ryanair ha chiuso il bilancio al 31 marzo 2016 con profitti in crescita del 43% a 1,2 miliardi e con un aumento dei passeggeri oltre quota 100 milioni. Easyjet ha guadagnato 686 milioni trasportando 68 milioni di persone (+6%). Vueling, al netto dei problemi di quest’estate legati all’operativo saltato e ai disagi negli aeroporti, ha detto che la Brexit le impedirà solo di replicare quest’anno il +70% di profitti del 2015.
La metamorfosi del low-cost. Dietro le quinte, però, qualcosa di nuovo – piano piano – si sta muovendo. I primi segnali si sono già visti. L’ipotesi di un’offerta di Easyjet per la Monarch Airlines (obiettivo: rafforzare la posizione a Gatwick) è forse il primo segnale dell’inizio del processo di consolidamento del settore. Southwest da sola offre negli Usa il 60% dei voli a basso prezzo. Una fusione tra Ryanair e Easyjet però, pur portando a una percentuale simile a quella del rivale statunitense, pare al momento solo ipotesi di fantafinanza. Molto più probabile che i “piccoli” provino a unire le forze con alleanze anche tra aerolinee abituate in altri segmenti di mercato a combattersi senza esclusione di colpi.
Air France e Lufthansa, per dire, messe un po’ alle corde dallo strapotere dei big, potrebbero in futuro unire le forze delle rispettive costole low-cost (Transavia e Eurowings) per reggere meglio il vento della concorrenza. Qualcosa di simile potrebbero fare pure i grandi tour operator (da Tui a Thomas Cook) per cui dividere le spese del trasporto aereo potrebbe essere un’idea intelligente. La vera sfida del futuro però, dice il tam tam del settore, è il sogno di una sorta di alleanza trasversale tra le low-cost e i vettori tradizionali. Con le prime a gestire il servizio di trasporto regionale verso gli hub per colossi (come i big del Golfo) che sono a caccia di basi operative oltre i loro scali mediorientali. Ci sono problemi per far parlare tra di loro i sistemi delle compagnie. Ryanair & C temono di perdere parte della loro flessibilità ed efficienza. Ma intanto si inizia a parlarne. E la Brexit potrebbe dare un colpo d’acceleratore sia a questi pour-parler che al sogno nel cassetto (per ora) dei voli a prezzi stracciati tra le due sponde dell’Atlantico. Le ha lanciate in via sperimentale la Wow Air. Ci sta provando la Norwegian. Ma presto il traffico tra l’Europa e gli Stati Uniti potrebbe allargarsi anche ai vettori low-cost che in pochi anni hanno già rivoluzionato radicalmente la mappa del trasporto nei cieli europei.
Repubblica