UN MERCATO SEMPRE PIÙ A DUE VELOCITÀ. DA UNA PARTE I SOCIAL NETWORK E IL MONDO GOOGLE CHE CORRONO. TUTTO IL RESTO, DOVE SONO PRESENTI LE MEDIA COMPANY TRADIZIONALI, INVECE RALLENTA. LA RISPOSTA È RIDISEGNARE I PRODOTTI. E LA QUALITÀ SARÀ STRATEGICA
Non solo corre sempre più a due velocità il mercato italiano della pubblicità online. ma ciò che è peggio è che le due velocità stanno divergendo sempre di più. La scorsa settimana l’Osservatorio Fcp Assointernet, gestito dall’associazione delle concessionarie italiane di pubblicità, paralva di una raccolta online per il mese di maggio negativa per 6,3 punti percentuali. Ma non è internet che si è fermata: è che la pubblicità online cresce solo grazie a Google e Facebook, al motore di ricerca e ai social network. L’unica via d’uscita è trovare un accordo con Google e Facebook, si sente dire a mezza bocca. Oramai è chiaro che i due giganti del web non si possono più certo battere per via legislativa e regolamentare, anche se molto si può ancora fare sulla via di una minore disparità competitiva dettata dal fatto che gli operatori europei osservano le leggi dell’Unione mentre i giganti d’oltreoceano riescono spesso a trovare vie legali per ammorbidire i loro obblighi. “Ma una soluzione andrà trovata – afferma convinto Daniele Sesini, direttore generale di Iab Italia, l’associazione degli operatori italiani della pubblicità online – Google e Facebook non possono fare a meno dei contenuti di qualità degli editori italiani”. Le previsioni d Iab Italia vedono il mercato online italiano alla fine del 2016 crescere tra il 10 e il 12% e dovrebbe arrivare
a toccare i 2,4 miliardi di euro. «Di questa cifra gli Ott, diciamo Google e Fb per comodità, rappresentano il 67%, più dei due terzi – spiega Sesini – Dentro questa accelerazione ci sono però diversità e nodi da sciogliere». Il primo nodo è strategico perché riguarda il diverso valore economico degli investimenti, che si stanno spostando dal desktop, ossia dal web originario, quello dei siti e dei portali, verso il mobile. Che infatti cresce a fortissima velocità. Anche perché parte da cifre bassissime: secondo i dati Iab – Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano nel 2014 valeva tra un quinto e un sesto della raccolta indirizzata ai grandi schermi dei Pc. Poi è cresciuto del 50% in due anni consecutivi e a fine 2016 dovrebbe attestarsi a quasi 800 milioni, dai 290 del 2014. Ma sarà ancora circa un terzo del totale investimenti sulle piattaforme digitali. Il vero problema è che i ricavi della pubblicità su smartphone crescono molto meno dell’utilizzo del terminale. «Il 60% del traffico generato dagli utenti sul web viene prodotto su dispositivi mobili – analizza Sesini – ma in termini di ricavi questo pesa ancora solo il 25% del totale. Questo per diversi motivi: il tempo che ogni utente passa su una singola schermata è più breve, sul piccolo schermo dello smartphone si possono inserire meno messaggi rispetto al desktop e, soprattutto, sui terminali mobili si devono ancora mettere a punto formati pubblicitari specifici per la fruizione tipica da smartphone ». Né le cose vanno meglio sui tablet e con le app, che nel 2016 cresceranno in quota sul totale solo di un 1%: dal 4 al 5. E ancora marginale sono le smart tv, i televisori connessi, con una quota inferiore all’1% del totale. Dove la spesa degli investitori pubblicitari cresce è nei video e nella pubblicità programmatica. I video sono considerati la killer application della rete: a fine 2016 faranno 1,4 miliardi di raccolta, quindi circa il 58%. Dal punto di vista pubblicitario sono valorizzati al meglio sui desktop, dove però sono in calo, e meno sui terminali mobili. In crescita sostanziosa anche la programmatica, ossia la cosiddetta pubblicità automatica che riesce a raggiungere l’utente obiettivo ovunque si connetta. La programmatica usa tecnologie e piattaforme evolute per rendere più efficace e precisa la comunicazione commerciale. E gli investitori apprezzano: quest’anno sta crescendo del 30%, dopo aver fatto un sonoro +114% l’anno scorso. E a fine anno arriverà a superare i 300 milioni e il 10% del totale. Ma la programmatica disintermedia le concessionarie perché è un algoritmo che alloca gli spazi pubblicitari in un sito piuttosto che un altro. Un utente profilato su un sito di un giornale o di una tv può quindi, in teoria, essere riconosciuto e raggiunto quando si trova su altri siti dove il costo- contatto è nettamente inferiore. Ma è proprio così? «No. Certo, tecnicamente è fattibile – spiega Sesini – ma questo non terrebbe conto del valore del contesto in cui un utente riceve l’informazione pubblicitaria. Il contesto è importante e deve essere adatto al contenuto: deve essere dello stesso livello qualitativo». Ed è proprio qui, sulla qualità, che le media company tradizionali possono giocare la loro partita con i big della Rete, tornare a consolidare il loro ruolo anche nei nuovi scenari digitali e recuperare il valore economico dei loro prodotti. In attesa che il mercato faccia il suo ennesimo passo: «Aspettiamo la “ads of things” – annuncia Sesini – la pubblicità nell’era dell’internet delle cose, degli oggetti connessi. Verremo raggiunti mentre “parliamo” con il nostro frigorifero che ci avverte che è finito il latte o con la nostra piattaforma di e-health avvertita dal nostro smart watch che abbiamo un calo di zuccheri e dovremmo mangiare qualcosa al volo. E’ in questa fase che dovremo ridefinire con attenzione e con la partecipazione di tutti le regole del gioco». Daniele Sesini direttore generale di Iab Italia, l’associazione degli operatori italiani della pubblicità online
Repubblica