Dopo mezzo secolo chiude Pariscope, «une institution de la vie culturelle parisienne», una vera istituzione della vita culturale parigina, come racconta con nostalgia Daniel Filipacchi, 88 anni, proprietario della casa editrice Hachette-Filipacchi, che nell’ottobre del 1956 fu uno dei due fondatori (l’altro era il giornalista Philippe Grumbach, all’epoca redattore capo del settimanale L’Express, scomparso nel 2003) della guida più informata, più utile, più pratica, più consultata dai parigini e dai turisti che, sulle pagine-pocket del Pariscope potevano organizzare le loro visite, le passeggiate, le serate al teatro o al café chantant.
Pariscope chiude perché ormai era un prodotto quasi «vintage» e con le sue 26 mila copie vendute (tutte in edicola), un livello che in Italia farebbe felici molti settimanali, non aveva più risorse finanziarie per reggere la concorrenza con i siti web, gli inserti a colori dei quotidiani, i mille portali internet che raccontano la città e al tempo stesso vendono biglietti, prenotano il ristorante, organizzano una «livraison», la consegna del pranzo a domicilio.
Eppure alle spalle di Pariscope e dei suoi quattro redattori (troppo pochi per smuovere il sindacato dei giornalisti) c’è un gruppo editoriale, Reworld Media, che non è esattamente povero. Solo che ormai pensa ad altro, al web e al fatturato che si può generare con il nuovo mestiere di brand content, la produzione di contenuti al servizio della pubblicità e degli inserzionisti.
Pariscope, diciamo, era stata una scommessa per i due titolari, Pascal Chevalier e Gautier Normand che nel 2014 se l’erano ritrovato nel pacchetto di testate che avevano rilevato dal gruppo Lagardère (tra le altre Marie France, Maison&Travaux, Mon jardin, Auto Moto, Ma maison e un po’ di televisivi) grazie ai quattrini di un fondo d’investimento di Singapore che, come tutti i private equity, era più interessato alla redditività a breve che al valore (anche sentimentale) del settimanale parigino.
Come poteva resistere Pariscope in un ambiente editoriale in cui, oggi, si punta alla produzione e alla gestione di siti aziendali (un centinaio con 50 milioni di visitatori unici, chiarisce Chevalier) che permettono a Reworld Media di chiudere il primo semestre del 2016 con 77 milioni di fatturato e un milione di margine, il doppio rispetto allo stesso periodo del 2015?
Certo Pariscope avrebbe potuto avere la sua extension internettiana, il suo sito come ce l’ha il suo diretto concorrente, L’Officiel des spectacles che vende 34 mila copie e festeggia quest’anno il settantesimo anniversario. Ma si vede che i due editori di Reworld Media avevano altre priorità: per esempio, quotarsi al segmento Euronext della Borsa di Parigi e spingere verso l’internazionalizzazione come chiedevano i finanziatori di Singapore. Il vecchio caro Pariscope era già morto prima di mercoledì 19 ottobre 2016, ieri per chi legge, giorno di uscita del suo ultimo numero. Per la precisione, il n. 2526. Au revoir, arrivederci. Sperando che Lagardère decida di riprendersi la testata.
di Giuseppe Corsertino, Italia Oggi