Henri Pinault, patron di Kering e del marchio fiorentino, vuole un fatturato da 6 miliardi. Si punta a raddoppiare le vendite al metro quadro per boutique
François-Henri Pinault, il patron del gruppo Kering, il numero due mondiale del lusso (dopo Bernard Arnault di Lvmh e ricordarglielo lo infastidisce molto), era stato chiaro con Marco Bizzarri, il neogovernatore di una delle sue più ricche e prestigiose province italiane, quella maison Gucci da 3,9 miliardi di fatturato (nel 2015), da qualche tempo in crisi d’immagine e di vendite.
«Cher Marco, i ricavi di Gucci, la perla del mio impero, debbono arrivare almeno a 6 miliardi di euro nei prossimi due anni» gli ha sussurrato al momento del suo insediamento dopo la cacciata dei due top manager, Patrizio Di Marco (ora ceo di Dolce&Gabbana) e la sua compagna Frida Giannini, storica direttrice artistica della maison, entrambi ritenuti responsabili della pericolosa marcia indietro della maison.
E Marco Bizzarri, romagnolo di Rubiera, laurea in economia all’università di Modena, una passione per la moda (è stato in Mandarina Duck, in Stella McCartney e infine a Bottega Veneta, altra partecipazione del gruppo Kering della famiglia Pinault), passo dopo passo, ci sta arrivando.
Nei primi tre mesi di quest’anno i ricavi sono saliti a quota 895 milioni e segnano, per la prima volta dopo la crisi della gestione Di Marco-Giannini, un rimbalzo del 3,1% che può sembrare poca cosa considerando le performance storiche del settore.
Solo che il lusso, dall’anno scorso, per la doppia crisi dei mercati cinesi (per il crollo della Borsa e lo sgonfiamento della bolla immobiliare) e arabi (per il crollo dei prezzi del petrolio) segna un magrissimo +2% quindi i risultati di Gucci, parola di Bizzarri, non debbono essere considerati poi così malvagi.
Si arriverà nei tempi ai 6 miliardi di ricavi richiesti con una certa determinazione dall’azionista francese? Difficile dirlo.
Intanto Bizzarri, si è scelto come direttore un tipo giovane e brillante come Alessandro Michele.
Michele, come lo chiamano tutti nel mondo della moda, ha avviato un «renouvellement stilistique», un riposizionamento di Gucci, nella direzione di uno stile «hippie chic» che ha fatto salire (sempre nel primo trimestre 2016) le vendite della pelletteria (borse e accessori) del 7%, del pret-à-porter (i capi a prezzi più bassi alla portata delle clienti più giovani) del 66% e delle scarpe del 46%.
Se si sommano le percentuali e si fa qualche calcolo si arriva a quel +3,1% di cui si parlava prima. E che fa dire a Luca Solca, analista di Exane Bnp Paribas, che «la scelta di ringiovanire l’immagine e lo stile di Gucci è stata corretta, che il binomio Bizzarri-Michele funziona ma che la ripresa, non potrà consolidarsi prima dei due anni» a meno di altri sfracelli sui mercati mondiali.
Tenendo anche conto che Henri-Pinault ha dato al suo manager italiano un altro obiettivo (quasi) impossibile: raddoppiare il tasso di vendita al metro quadrato per boutique. Spieghiamoci. Oggi in media un metro quadrato di una qualsiasi delle 522 boutique Gucci nel mondo genera circa 20 mila euro di fatturato all’anno. In futuro, per mantenere il livello di redditività, questo tasso dovrà anch’esso raddoppiare, come il fatturato, a 40 mila euro al metro quadro.
È evidente, a questo punto, che la creatività di Michele, l’inventore del nuovo stile «hippie chic» non basta più. Bisognerà intervenire sui costi operativi. Forse qualche boutique dovrà essere chiusa, qualche dipendente lasciato a casa. Ma sul punto è impossibile avere chiarimenti. L’unica ammissione che fa Bizzarri è che «ci vuole tempo per riposizionare un marchio come Gucci». A la prochaine, alla prossima.
Giuseppe Corsentino, ItaliaOggi