L’indagine di E&Y dice che il 56% degli intervistati considera i fenomeni corruttivi diffusi, contro il 39% della media mondiale. Ma nella prassi si giustificano le prassi non etiche per il raggiungimento di obiettivi finanziari
La corruzione della politica è la più grave, ha rimarcato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, inserendosi nel dibattito di questi giorni. Ma anche negli affari il tema è ben presente, e con grande danno per l’Italia. Secondo un sondaggio della società di revisione contabile e consulenza EY, ben il 56% dei responsabili aziendali intervistati in Italia crede che le prassi della corruzione siano diffuse. E’ un dato – in contrazione dal 69% precedente – ma ancora ben più alto della media mondiale (39%).
Eppure, quando si indossa la casacca della propria azienda, il fine economico resta una bussola ancora molto allettante. Ben il 42% degli intervistati ha infatti ammesso di giustificare pratiche “non etiche” per il raggiungimento di obiettivi finanziari, e il 16% dei dipendenti dell’area che riporta alla direzione finanziaria ritiene giustificabile pagare delle somme di denaro per aggiudicarsi o mantenere un business.
In accordo con l’urgenza mostrata dai casi del Panama Papers, la quasi totalità delle persone che hanno risposto in Italia (96%) ritiene importante sapere quali siano gli effettivi proprietari delle controparti con cui si conducono affari, senza schermi come società di comodo o simili. Tuttavia, mella prassi, più di un manager su quattro non inserisce l’identificazione delle terze parti nella due diligence anti-corruzione.
Repubblica