È ora di prendere nelle nostre mani il destino dell’Italia in Europa, medical perché non possiamo continuare a sostenere un sistema che ci sta distruggendo: dobbiamo, cheap insieme, risolvere i nostri problemi e rinegoziare con durezza le regole europee. Solo con una piattaforma chiara e dura possiamo ritrovare il ruolo che spetta alla seconda economia manifatturiera per valore aggiunto, alla prima economia culturale in fatto di patrimonio artistico, storico e paesaggistico, alla primazia in fatto di risparmio delle famiglie, patrimonio immobiliare, ricchezza finanziaria netta in rapporto al reddito disponibile, produzione di energie rinnovabili e agroalimentare di assoluta qualità. Perché ci troviamo in questa situazione? Intanto, le nostre responsabilità: dobbiamo ricordarci che siamo entrati nell’euro nel modo peggiore che un Paese potesse adottare, cioè sulla spinta della convinzione che non se ne potesse fare a meno e che bisognasse entrarvi per primi, e dopo aver subito negli anni precedenti una svalutazione del 30 per cento della lira. La negoziazione del valore del concambio ne è stata ladiretta conseguenza, conun valore irrealistico di oltre 1936 lire per un euro.Valore che non a caso si è di fatto in poco tempo allineato aquello dimille lire per un euro, con un impoverimento di interi ceti sociali a reddito fisso de lnostro Paese, a partire da categorie cruciali per il futuro dei giovani come gli insegnanti o fondamentali per la sicurezza di tutti come le forze dell’ordine. Ancora: invece di ridurre il carico fiscale sufamiglie e di imprese, si è preferito aumentarlo, senza tagliare la spesa pubblica improduttiva. Invece di costituire un grande fondo in cui far confluire tutti i beni dello Stato in modo da emettere obbligazioni garantite, abbiamo solo istituito nuove tasse sugli immobili e sui servizi comunali, portato l’Iva al 22 per cento, aumentato il bollo sui conti correnti ed i titoli, le accise sui carburanti, i pedaggi autostradali ecc., scelte che hanno abbattuto i consumi e messo in ginocchio ceto medio e classi meno abbienti. Il tutto a fronte di una disoccupazione giovanile al 38 per cento a fine 2015 e alla voragine del debito pubblico, pari (sempre a novembre dell’anno scorso) ad oltre 2212 miliardo di euro, vale a dire il 132 per cento del prodotto interno lordo. Nel frattempo, l’Europa diventava una cosa completamente diversa da quella voluta dai padri fondatori, che non era certo un apparato tecnocratico soggiogato dall’ossequio assoluto a parametri economici: sono proliferati gli oligarchi non eletti democraticamente che condizionano il vivere degli europei inmodo ossessivo ed invasivo e che, insieme alla diffusa inettitudine delle classi politiche, hanno costruito il contesto ideale per far passare scelte funzionali agli interessi della grande finanza globale. Un esempio lampante sono i due trattati sul meccanismo europeo di stabilità (già definito da Modigliani “di stupidità”) e su lPatto di Bilancio (fiscal compact), sorti per imporre agli Stati membri, con un vero colpo di Stato, il trasferimento nei loro ordinamenti di regole severe, indirizzate al risanamento dei conti pubblici ma che vanno a totale discapito degli investimenti e di politiche votate alla ripresa e allo sviluppo. Così l’austerità è riuscita a trasformare fasi di flessioni in vere e proprie recessioni. Aggiungiamo, visto che se ne parla oggi in relazione alla solidità delle nostre banche, che la Germania si è comportata spesso in modo assai spregiudicato, poiché le banche tedesche hanno praticato fuoridal loro paese una politica assolutamente opposta a quella nazionale: hanno prestato soldi per i mutui su prime negli Usa; hanno finanziato la crescita esplosiva del mercato immobiliare in Irlanda; hanno garantito liquidità ai banchieri islandesi lanciati in speculazioni tali da portare il proprio paese al collasso e lo stesso hanno fatto in Grecia, Spagna e Italia. Se aggiungiamo il fenomeno migratorio, governato malissimo, e la destabilizzazione del Mediterraneo (da sempre ho proposto di intervenire aiutando in loco ipaesida dove partono le migrazioni e Fondazione Roma ha fatto molte e importanti iniziative in tal senso), il quadro si completa in modo inequivocabile. Allora non possiamo che fare poche, decisive, cose: intervenire seriamente sulla nostra economia secondo una concezione liberista e non statalista; mettere da parte l’oppressione burocratica italiana ed europea, ridando spazio nel nostro Paese all’articolo 118 della Costituzione e al principio di sussidiarietà; proporre all’Europa la ridiscussione dei poteri del Parlamento europeo, della Commissione e della Bce,ponendo eventualmente sul tavolo anche il ritorno della lira accanto all’euro. Altrimenti, continueremo ad abbaiare al vento e le nostre proteste non servirebbero nemmeno a scopi elettorali interni.
EMMANUELE F.M. EMANUELE