Sarà una sorta di semestre bianco: trovare il nuovo amministratore delegato di Bnl (anzi, store Bnl Banca Commerciale, come recita il nome per esteso da quando, nel 2006, è stata acquisita dai francesi di Bnp Paribas) si sta rivelando impresa lunga, se non difficile. Non che manchi l’interesse: i gossip finanziari dicono che all’ultimo workshop di Cernobbio c’è stata la fila davanti al presidente Luigi Abete per la successione a Fabio Gallia, con una quindicina tra auto-candidature e segnalazioni autorevoli. Il top manager Fabio Gallia è passato alla guida di Cdp nel luglio scorso, ma ben da prima era ormai noto il passaggio di consegne con Giovanni Gorno Tempini. Per qualsiasi altra banca italiana si sarebbe trattato di un tempo eccessivo senza capo-azienda; ma occorre considerare che Bnl è “solo” una componente – nobile quanto si vuole ma comunque limitata – di una grande banca europea, nemmeno francese, la prima per asset in area euro. Del resto il numero uno di Parigi, Jean-Laurent Bonnafé, presentando i dati del semestre a fine luglio, aveva dichiarato che «non c’è alcuna urgenza» di trovare un sostituto, che sarà scelto entro fine anno. Aggiungendo che «la cosa più probabile è che sia un italiano». Di nomi ne girano, da allora. Si va da Fabrizio Viola, attuale capo azienda di Mps (che forse non sarebbe nemmeno alieno dall’idea di cambiar sede, sebbene non ci siano segnali in tal senso), a Roberto Nicastro. L’ormai ex direttore generale di Unicredit viene indicato da più fonti come il candidato più gettonato, ma è possibile che sia solo il nome più ragionevole, dato lo standing del personaggio (e il fatto che dal primo ottobre sarà fuori da Unicredit). Un altro nome che circola è quello di Flavio Valeri, che guida con successo Deutsche bank in Italia (in realtà senza che ci siano segnali di una sua volontà di cambiar lavoro) o di Alessandro Decio. Il manager, che i più danno in uscita da Unicredit – dove è responsabile della divisione Rischi – pur senza conferme ufficiali, viene considerato tra i più accreditati a succedere a Gallia. Ma è probabile che tutti questi candidati siano più una speculazione delle cronache finanziarie, che una short list già identificata. Il punto, in questa fase, è capire qual è il profilo del candidato che Bnp Paribas sta cercando. Un interrogativo strettamente legato a quale tipo di sviluppo Parigi immagina per Bnl da qui a 3-5 anni. L’istituto, nato come Bancoper nel 1913, si trova in una fase di passaggio: ha ancora un’anima decisamente corporate, ma è difficile ignorare la pressione crescente delle attività retail, da quando sono arrivati i francesi al comando. Anche come dimensioni (80,3 miliardi di attivo a fine 2014), è medio tra i gruppi grandi, una presenza nazionale: un mix di fattori che rischia di rivelarsi una debolezza, in prospettiva. Sopratutto alla luce del processo di aggregazione che, nonostante le false partenze e i rinvii di questi mesi, prima o poi partirà. Lo faranno le popolari, prossime società per azioni, lo farà probabilmente il Montepaschi (nonostante le difficoltà a trovare un partner disponibile). In tutto questo, che ruolo si troverà a giocare Bnl? Da Parigi hanno sempre puntato alla crescita organica (sebbene qualche dossier in passato sia stato guardato), ma nel prossimo futuro la strategia potrebbe cambiare. Tante incognite, da cui dipende in larga misura anche il profilo del manager che dovrà gestire i destini di Bnl nei prossimi anni. Allo stato dell’arte sembra meno probabile che il candidato alla successione sia un nome interno, anche se la convocazione di un cda apposito per la conferma dei requisiti di onorabilità e professionalità del vicario, Angelo Novati, aveva fatto pensare ad una possibile conferma del manager, in via definitiva. Al momento, però, si è trattato solo di un adempimento dovuto (e l’ipotesi di una sua riconferma resta per ora sullo sfondo). Chiunque arrivi, comunque, dovrà probabilmente continuare nell’ opera di riposizionamento selettivo degli impieghi verso imprese a vocazione internazionale e small business, oltre che ai privati. Il costo del rischio, infatti, pur in diminuzione, resta alto: 166 punti base nel primo semestre 2015 (dato annualizzato) rispetto ai 179 del 2014 (e ai 98 punti base del 2011, a titolo di confronto). Nello stesso semestre, ad esempio Ubi ha registrato un costo del credito (in realtà un aggregato leggermente più ridotto del costo del rischio) di 91 punti base e Bpm di 101. Anche la redditività resta compressa: l’utile lordo del primo semestre è pari a 40 milioni (ma era solo di uno nel primo semestre 2014) dopo aver “girato” un terzo dei risultati del private banking Italia al Wealth management di Bnp Paribas.