Indicatori statistici e associazioni di categoria concordano: è stata la migliore stagione turistica dal 2008. Più italiani in vacanza rispetto all’anno scorso (+ 8, and 6%), più arrivi stranieri (+ 2,5%), addirittura un boom in Lombardia (+19% a luglio) grazie all’Expo. Matteo Renzi ha twittato soddisfatto sui diversi segni più dell’economia, dal turismo all’export. Ma, stranamente, non ha fatto alcun cenno all’Enit, l’ente nazionale per il turismo, di cui aveva cambiato il vertice, nominando a sorpresa come presidente Evelina Christillin, rampante manager della Torino bene, con un ricco carnet di poltrone, fra cui la presidenza del Museo egizio e quella del Teatro Stabile torinese. «Imparerò, studierò dove possiamo arrivare: ora non servono i proclami, ma lavorare a testa bassa e pancia a terra» disse lei nella sua prima intervista, con l’entusiasmo della neofita. Che sia stato anche merito suo se il turismo ha cambiato verso?
La risposta è no. A dirlo è la stessa Christillin in una lettera al supplemento economico di Repubblica di lunedì scorso, in cui rivela che «il nuovo consiglio d’amministrazione dell’Enit, pur essendo stato nominato dal Consiglio dei ministri il 17 luglio, non si è ancora insediato, a causa di pratiche burocratiche ancora irrisolte». Così, al vertice dell’ente, c’è ancora il commissario Cristiano Radaelli, ingegnere nucleare, nominato pure lui da Renzi un anno fa con l’incarico di trasformare l’Enit in un ente pubblico economico. Impresa rivelatasi più ardua del previsto dopo che un gruppo di dipendenti, per evitare di perdere alcuni privilegi connessi allo status burocratico dell’ente, hanno fatto ricorso al Consiglio di Stato. E poiché il contenzioso sta andando per le lunghe, l’ennesimo tentativo del governo di riorganizzare la promozione turistica rischia di rivelarsi un fiasco, al pari di quelli precedenti.
Giusto per stare ai casi più recenti, tra gli operatori del settore è ancora vivo il ricordo dei disastri combinati da Michela Vittoria Brambilla, per la quale l’ex premier Silvio Berlusconi aveva ricostituito nel 2009 il ministero del Turismo, assegnandole il rango di ministro senza portafoglio, con l’incarico di risollevare le sorti di un settore che rappresenta il 10% del pil nazionale, occupa stabilmente circa 3 milioni di lavoratori, ma perde sempre più terreno nel ranking internazionale: per numero di visitatori, l’Italia è ormai superata non solo da Francia, Usa e Spagna, ma anche dalla Cina, ed è tallonata dalla Turchia.
Convinta animalista, ma digiuna di turismo, la Brambilla non badò a spese: pur avendo ottenuto dall’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, un budget limitato a 642.960 euro, riuscì a spendere ben 15,5 milioni, di cui 8,6 milioni solo per allestire il portale italia.it, che, nelle sue intenzioni, doveva risolvere una volta per tutte il rilancio del turismo. Quel portale, però, era talmente povero di contenuti utili che, in breve, si rivelò un flop clamoroso, finendo al posto 184.594 nel ranking mondiale dei siti internet. Di fatto, uno dei meno visitati. Così, quando lasciò il ministero, la Brambilla lasciò dietro di sé una lunga lista di sprechi di denaro pubblico, ma rilancio del turismo zero.
Non meglio di lei hanno fatto i successori. È il caso di Simonetta Giordani, giornalista, che, da responsabile delle pubbliche relazioni della società Autostrade, è stata catapultata a sottosegretaria dei Beni culturali, con delega al turismo, dal governo di Enrico Letta, suo sponsor: una meteora politica, distintasi per la totale inconcludenza, ma egualmente premiata poi con la nomina nel consiglio d’amministrazione delle Ferrovie da Renzi, a coronamento di una carriera fulminea, iniziata con la frequentazione dei seminari Vedrò di Enrico Letta prima, e della Leopolda di Renzi poi.
Altrettanto impalpabile la gestione del turismo di Massimo Bray, ministro dei Beni culturali e del turismo all’epoca in cui la Giordani era sottosegretaria. Da buon dalemiano, non sapendo che pesci pigliare, forse ispirandosi alla bicamerale del suo protettore politico, per studiare il rilancio del turismo mise in piedi una commissione di 20 saggi, per lo più accademici, avvocati, sovrintendenti, ma nessuno esponente della piccola e media imprenditoria turistica, che è la spina dorsale del settore. Risultato: le solite chiacchiere accademiche e teoriche, seguite dalla paralisi degli investimenti a causa di nuove leggi e regolamenti pieni di errori.
Con Dario Franceschini, successore di Bray, il governo ha scoperto l’acqua calda, cioè che l’Italia è in forte ritardo nella promozione del turismo via web (26.ma per competitività e 101.ma per l’uso di internet). Così ecco un’altra commissione di studio, il TDLab (Laboratorio per il turismo digitale), incaricato di «studiare l’attuazione della strategia digitale del turismo in Italia». Per fortuna è gratis e i suoi esperti non prendono un euro. In attesa dei risultati concreti del TDLab (campa cavallo), Renzi è andato per le spicce, tentando di rilanciare l’Enit con la nomina della Christillin. Niente da fare: la burocrazia, la Corte dei conti e il Consiglio di Stato si sono messi di traverso. Per fortuna, il turismo si è ripreso ugualmente, grazie al lavoro degli operatori privati. In fondo, l’ennesima conferma che l’Enit è un ente inutile, da abolire al più presto, visto che su 16 milioni di costo, ne spende più della metà in lauti stipendi, e appena 2,5 milioni per promuovere il turismo all’estero. Una vergogna. di Tino Oldani (ItaliaOggi)