(di Massimo Gaggi, look Corriere)Il capo di Fca è attivissimo al Salone dell’Auto. Si aggira per gli stand, va a curiosare in quello della Land Rover, concorrente, e risponde alle domande dei giornalisti. È ora che la Banca Centrale Europea lanci il suo «quantitative easing»? «Bisogna stare attenti. Draghi fin qui ha fatto molto bene. Quell’arma è efficace, ma è un bazooka. Il problema del bazooka è che, una volta che lo lanci, non c’è il secondo. Quindi se Draghi lo usa, lo deve usare bene. È un’arma estrema: o funziona o restiamo col cerino in mano, vista la struttura della BCE e i mezzi che ha a disposizione». E Draghi al Quirinale? «Mah, Mario dice di non volerci andare». E lei? Sergio Marchionne si mette a ridere, dice che è una barzelletta.
Detroit nella morsa del ghiaccio
Non sono ancora le otto del mattino, Detroit è in una morsa di ghiaccio (venti sotto zero previsti per martedì sera), ma il capo di Fiat-Chrysler è già attivissimo al Salone dell’Auto. Si fa intervistare da una radio del Michigan, si aggira per gli stand, va a curiosare in quello della Land Rover, concorrente delle sue Jeep, e non si sottrae alle domande più diverse dei giornalisti italiani. Un dollaro alla pari con l’euro? «Se non cambia qualcosa nella struttura del rapporto economico e industriale tra Usa ed Europa ci si può anche arrivare. Sono anni che lamentavo la sopravvalutazione della moneta Ue: il mercato, alla fine, prevale sempre. Una cosa che ci sta aiutando molto».
Il semestre europeo
E il semestre di guida italiana dell’Unione europea che finisce oggi? «In sei mesi non puoi fare molte e la presidenza, nel sistema delle istituzioni europee, ha poteri limitati. Ma in questo periodo un risultato importante è stato ottenuto: è cambiato l’atteggiamento dei tedeschi nei confronti di quell’austerità finanziaria e fiscale che hanno imposto per cinque anni. E bisogna riconoscere che qui un ruolo importante l’ha avuto Matteo Renzi che su questo punto ha impostato un’agenda molto precisa».
Il rilancio dell’Alfa Romeo
Il Marchionne di questi giorni a Detroit è un capoazienda che comincia a mietere i risultati di diversi anni di lavoro e investimenti. E’ più rilassato e, oltre a insistere sulle strategie di prodotto dei marchi italiani e americani (il rilancio dell’Alfa Romeo, il boom di Maserati e Jeep), si sofferma sui problemi strategici del gruppo. Soprattutto due: la ricerca di un partner e il rapporto con la forza di lavoro americana.
Rafforzamento del gruppo
Il capo di FCA spiega che il rafforzamento del gruppo, che quest’anno produrrà più di 5 milioni di veicoli e arriverà al pareggio operativo delle attività produttive anche in Europa («vediamo i risultati dell’ultimo trimestre 2014, dovremmo già essere molto vicini a conti in equilibrio»), serve anche a mette la società in una posizione migliore nella ricerca di un partner industriale. Un socio col quale dividere gli enormi costi e i rischi degli investimenti planetari richiesti dal settore dell’auto. Insomma, fuori dalla crisi ma senza illudersi di poter fare tutto da soli in un mercato mondiale ora in crescita grazie anche al dimezzamento dei prezzo del petrolio, ma che rimane difficilissimo ed estremamente competitivo.
«No al sistema salariale a due livelli»
Quanto al rapporto con la forza lavoro, e in vista del negoziato sul rinnovo del contratto con l’UAW, il sindacato dell’auto, Marchionne sostiene la necessità di superare il sistema salariale a due livelli (operai anziani che guadagnano 27 dollari l’ora, nuovi assunti che nel prendono 15) introdotto negli anni bui della crisi. Era il 2009 e lo stesso Marchionne l’aveva accettato, o addirittura sollecitato, davanti al gravoso compito di tirare fuori Chrysler dalla bancarotta. Ma adesso che siamo fuori dall’emergenza il top-manager dice che quello è «un sistema impossibile, quasi offensivo», va cambiato. Come? Già in base al contratto attuale, ormai in scadenza, da quest’anno i 15 dollari diventano 19. In più, all’UAW che chiede aumenti in vista del nuovo contratto, Marchionne propone un sistema nel quale i dipendenti giovani ottengono una partecipazione agli utili («profit sharing») superiore a quella riservata ai dipendenti più anziani.