Il 21 ottobre prossimo la Corte di Cassazione metterà la parola fine sul processo a carico degli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana. A dieci giorni dal termine ultimo della prescrizione, stuff i due stilisti siciliani sapranno se saranno dunque riconosciuti innocenti – come si sono sempre dichiarati -, o invece subiranno una condanna per omessa dichiarazione di redditi inerenti alla estero vestizione della Gado, la società lussemburghese che possedeva i marchi del gruppo. In appello, ai due fondatori della griffe e a un gruppo di manager, erano state inflitte condanne fino a un anno e mezzo di carcere. L’accusa originaria, sosteneva che attraverso il trasferimento in Lussemburgo della società che gestiva il marchio, fosse stato sottratto al fisco un miliardo di euro (la cifra finale si è nel processo più che dimezzata). Per l’intera vicenda, la Commissione Tributaria ha già inflitto ai due stilisti una sanzione da 346 milioni di euro. Nel 2007, i due stilisti hanno versato 40 milioni di euro tra sanzioni e interessi per chiudere una parte del contenzioso.
La condanna dell’appello – ed è un dato certo-, comunque non potrà essere riconfermata, anche nel caso in cui il ricorso delle difese venisse bocciato. Ad agosto, infatti, sui flussi relativi ai redditi del’anno 2005, è calata la prescrizione. I pm milanesi, Laura Pedio e Gaetano Ruta, avevano chiesto alla Cassazione di anticipare la fissazione dell’udienza entro il 28 agosto, ma così non è successo. Il motivo? I difensori degli imputati avevano tempo di ricorrere contro la richiesta della procura, entro il 4 agosto. Non tutti gli avvocati, però, hanno depositato il loro provvedimento a Milano. Una procedura del tutto legittima e prevista dal codice, che però ha fatto si che i tempi della pratica, si dilatassero, impedendo che si arrivasse prima al verdetto finale (l’ultimo ricorso è stato inviato proprio alla fine del mese scorso). Con questa prescrizione parziale, in caso di conferma di condanna, verranno così scontati almeno un paio di mesi al cumulo dell’eventuale pena finale.
La Repubblica