Fiat rimbalza in Borsa, ma la fusione è a rischio

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Tornano gli acquisti sul titolo Fiat dopo due giorni di pesanti ribassi: hanno pesato i pareri negativi di alcuni analisti sulla fusione con Chrysler, nurse giudicata dal punto di vista della governance, sfavorevole agli azionisti di minoranza. Se il recesso supera i 500 milioni, salta l’operazione
Improvvisa accelerazione di Fiat in Piazza Affari. Il titolo del Lingotto segna un forte rialzo (segui in diretta) dopo un avvio in lieve rialzo a seguito di due sedute estremamente difficili. Nei primi due giorni in cui gli azionisti potevano chiedere i diritto di recesso nell’ambito della fusione com Chrysler, infatti, sono si sono arrestate le vendite sul titolo Fiat. Dopo lo scivolone di martedì, ieri il titolo è stato di nuovo sospeso al ribasso per chiudere poi con una perdita del 5,5% a 6,4 euro. Il gruppo italiano è stato il peggiore del settore Auto in Europa, ma tutte le quotazioni delle concorrenti hanno sofferto anche a causa dell’avvio di un’inchiesta da parte delle autorità cinesi sull’ipotesi di pratiche commerciali scorrette da parte di marchi stranieri.
Già il giorno prima aveva chiuso con una perdita di oltre tre punti percentuali e con volumi al di sopra della media dell’ultimo mese. Il prezzo (intorno ai 6,4 euro) è di nuovo lontano dai 7,727 euro garantiti dal recesso. A quanto pare il numero dei soci contrari all’operazione che porterebbe alla nascita di una società olandese con sede fiscale a Londra e quotazione a New York, starebbe aumentando. Venerdì scorso in assemblea, avevano votato no alla fusione 100 milioni di titoli per un controvalore di oltre 700 milioni di euro: pare dunque possibile che il recesso, esercitabile fino al 20 agosto, superi i 500 milioni stanziati dal Lingotto per pagare chi non vuole seguire l’operazione.
E gli Agnelli hanno sempre detto di non voler aggiungere nemmeno un centesimo a quanto fissato: se l’esborso dovesse risultare superiore, salterebbe la fusione con Chrysler. Per di più nei 500 milioni devono restare incluse anche le somme da pagare agli eventuali creditori che si oppongono alla fusione, i quali hanno 60 giorni di tempo per dissentire. Se saltasse l’operazione, non verrebbe però distribuito nemmeno il recesso.
In una nota la reazione del gruppo torinese. “Sono destituite di ogni fondamento” le indiscrezioni sul mercato secondo cui Fiat avrebbe ricevuto un significativo numero di dichiarazioni di esercizio del diritto di recesso derivante dall’operazione di fusione approvata dall’assemblea straordinaria del primo agosto scorso”, precisando che “il termine per l’esercizio del diritto di recesso decorre da oggi e Fiat non ha ricevuto alcuna dichiarazione di esercizio del diritto di recesso”.
“Le informazioni che arrivano dall’Italia generano un sentimento negativo, con un impatto negativo sull’Italia stessa. E noi siamo trascinati dentro come parte di questa”, ha detto Sergio Marchionne, parlando del gruppo e del titolo. E ha aggiunto: “Se avessimo potuto scegliere avremmo scelto tempi migliori per annunciare la fusione”.  La stampa “ha esagerato” sui rischi legati al diritto di recesso dei soci Fiat contrari alla fusione con Chrysler ed esercitabile fino al 20 agosto prossimo. La paura di quel rischio ha pesato sulla performance di borsa di Fiat (-5,55% oggi a milano sui minimi del 2014 e -17% nell’ultima settimana e mezzo), motivo per cui il numero uno del Lingotto e della controllata Chrysler ha detto: “abbiamo visto performance relativamente strane nei mercati azionari recentemente”, performance peggiorate oggi a causa delle “informazioni emerse oggi sul Pil italiano” e che “contribuiscono all’umore negativo”.
Parlando nel corso della conference call a commento dei risultati finanziari preliminari del secondo trimestre e primo semestre dell’anno di Chrysler, Marchionne ha spiegato di essere stato chiaro nel corso dell’assemblea che si è svolta lo scorso primo agosto e in cui i soci Fiat hanno dato il via libera alla fusione tra Torino e Detroit: “se verrà raggiunto il limite dei 500 milioni” di euro stanziati dal Lingotto per pagare i soci contrari all’operazione “non ci sarà il merger”.

La Repubblica