(di Sara Zellini) Elsa Morante nasce in una giornata d’estate romana del 1912, nel quartiere popolare di Testaccio, al quale rimarrà sempre profondamente legata, così come resterà legata agli amati gatti che ancora popolano le strade del centro storico.
Fu la prima donna a vincere il Premio Strega, nel 1957, con “L’Isola di Arturo”, mentre il romanzo considerato il suo capolavoro, “La Storia”, rientra tra i cento migliori libri di tutti i tempi, secondo la lista stilata nel 2002 dal Club norvegese del libro.
Le prime prove come scrittrice la Morante le fa scrivendo filastrocche e favole per bambini, pubblicate su varie riviste, tra cui “Il Corriere dei piccoli” e “Oggi”.
Momento fondamentale della sua vita è l’incontro con Alberto Moravia, avvenuto nel 1936 per mezzo del pittore Giuseppe Capogrossi. I due si sposeranno cinque anni dopo, e diventeranno una coppia leggendaria. Gli amici con cui si riunivano nei circoli intellettuali della capitale li chiamavano MoranteMoravia, come fossero un’unica entità, un binomio inscindibile, una sola persona. Eppure, erano estremamente diversi: lui ironico, eclettico, entusiasta, scrittore affermato. Lei timida, insicura, alla ricerca di un involucro esteriore che le conferisse l’immagine di donna forte e sicura, dietro cui poter nascondere una grande vulnerabilità affettiva e il bisogno continuo di conferme. Elsa si innamora subito di Alberto, al loro primo incontro, nell’antica birreria Dreher accanto a Palazzo Colonna. Lui è l’autore discusso, ma indubbiamente affermato, degli “Indifferenti”, lei una giovane donna con “un viso tondo con due grandi occhi dall’iride screziata, pieni di luci e ombre”. Vive dando ripetizioni agli studenti e compilando tesi di laurea. Ma dentro quegli occhi profondi nasconde il suo sogno più grande, l’unico fino a quel momento: diventare scrittrice. Poi, si aggiungerà quello di un amore eterno e felice con il suo Alberto. (Anna Folli, “MoranteMoravia. Una storia d’amore”, Neri Pozza)
I due, così diversi e per questo complementari, un punto in comune ce l’hanno: la letteratura, vissuta come una sorta di fede religiosa, eretta a pilastro della propria vita. Anche nell’approccio alla scrittura, tuttavia, divergono: procede razionale e a tratti cinico Moravia, incantata e onirica è Elsa.
La loro sarà una storia d’amore tormentata, contro ogni sogno della Morante, struggente, ma sicuramente intensa. “Non volevo separarmi da lei, che sarebbe stata una soluzione più ragionevole, ma ucciderla, perché il nostro rapporto era così stretto, così complesso e in fondo così vivo che il delitto mi pareva più facile della separazione.” (“Vita di Moravia” di Alberto Moravia e Alain Elkann) “Fece di Elsa la sua croce, il suo angelo sterminatore, la sua oscura coscienza critica.” (Adriana Pincherle, sorella di Moravia)
Le loro letterature vivevano separatamente: Elsa non voleva mai sapere cosa pensasse dei suoi libri il marito, forse intimorita dalla sua autorità. Nella raccolta epistolare “Quando verrai sarò quasi felice. Lettere a Elsa Morante 1947-1983” (Bompiani, 2016) lo scrittore si limitava a chiedere alla moglie se lavorava bene, se aveva caldo o freddo, se stava male, se era raffreddata. Elsa mangiava male e in modo irregolare – racconta Moravia – e non sapeva cucinare nemmeno un uovo sodo. Così, quando Alberto tornava dai suoi continui viaggi e la coppia si ritrovava a Roma, a pranzo si arrangiavano, mentre la sera uscivano alla scoperta dei piatti romani tradizionali.
Il complesso rapporto tra i due andava avanti tra gelosia e tradimenti come rimedio alla routine e alla noia, quella noia che è sempre al centro delle opere di Moravia. Il matrimonio tra i due si consumò definitivamente dopo la relazione extraconiugale di Elsa con Bill Morrow, conosciuto durante un viaggio a New York. Il pittore, che morirà cadendo da un grattacielo (incidente o suicidio? Non si sa), partì con la Morante per Roma e un Moravia arrabbiato e frustrato ne presentò i lavori. E due eventi sanciscono la fine del rapporto MoranteMoravia: Elsa va a vivere da sola a via del Babuino e Alberto cambia l’intestazione delle lettere da “Carissima Elsina” a “Cara Elsa”.
La Morante continua a cercare diversi antidoti al veleno della vita: amareggiata nei confronti della società degli elettrodomestici, che conduce a uno snaturamento delle persone e a un allontanamento dalla natura, Elsa usa la scrittura per rifugiarsi in un mondo fantastico, magico, onirico: quello dell’”Isola di Arturo”. Isola che è il simbolo di un allontanamento regressivo e utopico dal continente e dal mondo. L’io dell’autrice emerge continuamente nelle pagine che animano le giornate semplici e fiabesche del piccolo Arturo. E che Arturo coincida con la stessa Elsa lo dimostra l’originale incipit del romanzo: <Quella, che tu credevi un piccolo punto della terra / fu tutto. / E non sarà mai rubato quest’unico tesoro ai tuoi gelosi occhi dormienti. / Il tuo primo amore non sarà mai violato. / […] E tu non saprai la legge / ch’io, come tanti, imparo, / — e a me ha spezzato il cuore: / fuori del limbo non c’è eliso.> (Una dedica forte, emblematica, a Remo N. )
Remo N. sta per Remo Natales, che altro non è che l’anagramma di Elsa Morante. Al centro la soggettività dell’autrice, dunque, alla ricerca di quel limbo irrecuperabile, l’infanzia, al di fuori del quale non c’è paradiso. Elsa va alla ricerca di un’infanzia perduta, della quale cerca di riappropriarsi, e che cerca forse di restituire ad Alberto, che era stato privato di quegli anni a causa di una malattia terribile, la tubercolosi ossea.
La fantasia della Morante vaga in luoghi immaginifici per far riemergere un mondo puro e incontaminato, quello di cui parla anche ne “Il mondo salvato dai ragazzini”. Un mondo che però rimane una lontana utopia nella cinica e fredda società degli elettrodomestici, un mondo in cui non c’è posto nemmeno per l’amore a lieto fine di MoranteMoravia.
Moravia conosce Dacia Maraini, che sarà sua compagna fino al 1976: in quell’anno comincia a frequentare Carmen LLera, 45 anni di differenza. Elsa morirà sola e infelice il 25 novembre 1985, a Roma, dopo aver tentato il suicidio due anni prima. Quando Alberto non era più presente nemmeno con le sue lettere: a Elsa giungono solo sterili cartoline da ogni angolo del mondo, che recano come firma un ormai indifferente “Affettuosamente, Alberto”.