La scuola del futuro sembra ormai una chimera. Di scuola digitale si parla da almeno 10 anni, con finanziamenti miliardari, di Stato ed europei, dal 2008 ad oggi.
Col susseguirsi dei governi ognuno ha avuto la sua ricetta di scuola connessa e al passo coi tempi, ma i risultati sono lavagne Lim obsolete e abbandonate perché la manutenzione costa troppo, libri digitali obbligatori dal 2014 ma sfruttati pochissimo e almeno secondo gli ultimi dati a disposizione solo il 13% degli istituti italiani raggiunti dalla fibra, prerogativa necessaria per accedere a tutti quegli strumenti tecnologici utili alla didattica, uno su tutti la potenzialità del cloud.
Che si debba accelerare è palese: se il lavoro cambia, deve farlo anche la scuola. Se il 65% dei bambini che oggi è alle elementari farà un lavoro che ancora non esiste, allora la formazione deve adeguarsi a un mondo in continua trasformazione.
Del resto questo è il primo anno in cui in classe non siedono i ragazzi nati nel secolo scorso: dall’asilo alla quinta superiore, ci saranno solo nativi digitali (senza contare i ripetenti).
Gli insegnanti d’ora in poi avranno a che fare solo con nativi digitali, quelli che ormai nascono con “il tablet e lo smartphone in mano”. La sfida è importante, portare il digitale e i nuovi strumenti tecnologici nella didattica. Ma la strada per una scuola italiana pienamente digitale sembra ancora lunga.
Siamo sicuri che si tratti di un problema tecnico, di strumenti?
Probabilmente si è partiti dalla domanda sbagliata: il cambiamento deve essere più profondo ed è sulla didattica, il modo in cui si conducono le lezioni. Poi arrivano gli strumenti tecnologici, che devono essere mezzi per “aumentare” la scuola e quindi la formazione.
La prima vera ricerca sugli effetti del digitale a scuola
Eppure c’è anche chi rimane scettico rispetto all’introduzione della tecnologia nelle scuole: mentre in Francia si vieta del tutto l’uso dello smartphone in classe fino ai 15 anni e a Piacenza c’è la prima scuola cellulari-free, c’è chi ancora si interroga, giustamente, sugli effetti dell’uso del digitale nella scuola.
I bambini utilizzano questi strumenti ormai già dall’età prescolare: c’è molta ideologia (smartphone e tablet fanno male ai nostri figli!) e poca sperimentazione per constatarne gli effetti didattici, chiaramente non si parla di intrattenimento.
Grazie al digitale gli studenti riescono a superare meglio i problemi di apprendimento come disortografia o dislessia e sviluppano meno ansia. Questo è emerso dalla più grande indagine sul campo riguardo gli effetti del digitale nella scuola primaria italiana. Condotta tra il novembre 2017 e maggio 2018 dal centro studi ImparaDigitale e dal Cnis (Coordinamento Nazionale degli Insegnanti Specializzati) dell’Università di Padova, ha coinvolto 1.400 insegnanti di 45 scuole primarie e oltre 1.300 bambini tra i 6 e gli 11 anni. Da nord, centro e sud, sono state coinvolte 28 scuole italiane.
La domanda fondamentale della ricerca, curata dalla ricercatrice del Cnis Maria Lidia Mascia e dalla collega Simona Perrone, è molto semplice, ma ha risvolti importanti: digitale sì o no nelle scuole?
Le aree di indagine sono state tre:
- come impatta la multimedialità sull’apprendimento,
- la scrittura nel digitale e su supporti cartacei e
- gli effetti di videogiochi e realtà aumentata sulla motivazione dello studente.
I risultati, seppur da approfondire, riportano dei vantaggi in alcune aree dell’apprendimento, se gli studenti sono guidati da persone competenti. La tecnologia quindi velocizza la fluidità dei processi ma è vantaggiosa rispetto alla carta solo se mediata dalla individualizzazione della didattica.
Un miglioramento si è visto tra i bambini con disturbi di apprendimento, per chi di loro ha imparato a scrivere con un tablet, ma in generale le classi sperimentali sono stati esposte all’utilizzo di software didattici, contenuti multimediali interattivi e app per tutte le materie, dalla matematica all’italiano. Il risultato è stata un’esecuzione più rapida di alcuni compiti e potenziamento spazio-cognitivo di quei bambini con più padronanza del digitale.
Con i videogiochi didattici poi i bambini hanno dimostrato una motivazione più alta, con livelli di ansia più bassi, perché percepivano l’attività più come gioco che come compito. Chiaramente il tutto deve essere guidato dagli insegnanti per non diventare intrattenimento, ma avere un impatto didattico.
L’esempio di H-International School
Per capire come potrebbe essere la scuola del futuro abbiamo visitato H-International School, la scuola internazionale di H-Farm, centro di innovazione tra i più grandi in Europa dove convergono imprenditoria e formazione a Roncade (Tv), in un enorme spazio immerso nella natura. La scuola è già attiva e si pone obiettivi decisamente ambiziosi: mettere al centro della didattica il benessere emozionale e l’imprenditorialità degli studenti, il digitale e l’inglese.
La scuola: si tratta di un network di scuole, complessivamente 4, situate a Treviso, Monza, Rosà e Vicenza, per un’offerta formativa che parte dai bambini di 3 anni per arrivare ai master, insomma un “pacchetto completo” che accompagna potenzialmente tutta la vita dello studente, che coinvolge bambini, ragazzi ma anche professionisti e manager.
Attualmente ci sono 1.200 studenti e non si tratta solo di una scuola digitale, anche se questo aspetto è centrale nella didattica: il tutto si basa su un approccio innovativo con una didattica dinamica, lo sviluppo di competenze trasversali e l’utilizzo di nuovi strumenti.
“L’unicità della nostra offerta formativa passa attraverso diversi aspetti, il più peculiare è certamente quello di essere la scuola di H-FARM, immersa quindi in una realtà in cui i nostri studenti incontrano settimanalmente startupper, imprenditori, artisti e professionisti che raccontano loro come immaginarsi il proprio futuro e come crearsi la propria strada”, ci ha detto Mauro Bordignon, preside di H-International School Treviso. Il percorso: Il percorso formativo va dai 3 anni, la scuola materna, per proseguire con i cinque anni delle elementari (Primary Years Programme) fino alle superiori, che durano però 4 anni (2+2). Gli studenti non rimangono nella stessa classe, ma di ora in ora cambiano a seconda delle materie. Passeggiando tra le aule abbiamo visto davvero come potrebbe essere la scuola del futuro, almeno su certi aspetti specifici, che mira a favorire la crescita attraverso l’esperienza, il fare e la progettualità, con il contratto diretto con le moderne tecnologie.
La base di tutto è l’IB programme (International Baccalaureate) ma integrato e aumentato al digitale, a cui segue una laurea triennale in Digital Management in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari di Venezia e Master di specializzazione BigRock (in computer grafica, concept art e realtà virtuale) e corsi formativi per adulti aperti a tutti, chiamati Reskill You. La scuola è completamente in inglese, tranne ovviamente le ore di italiano, e affianca alle materie classiche altre attività in aula e strumenti digitali volti a promuovere empatia, pensiero laterale e critico, benessere emozionale, fisico e mentale. Dal Design Thinking alle lezioni di Mindfulness, l’obiettivo è migliorare la creatività, la condivisione e la socializzazione, con il digitale visto come strumento, non come fine. Materie, progetti e attività innovative: Oltre alle materie tradizionali come italiano, matematica, storia, scienze, gli studenti di H-IS, in base all’età, imparano i fondamentali della programmazione, della computer grafica, dell’animazione 3D. Non solo lezioni frontali, il grande spazio in H-Farm consente agli studenti di essere continuamente stimolati grazie ai laboratori di vario genere. Sviluppano ad esempio progetti sociali nell’Acceleration Lab: per un anno, due ore a settimana, i professionisti dell’innovazione entrano in aula e lavorano con i ragazzi divisi in gruppi per sviluppare progetti ad impatto sociale con la possibilità per il vincitore di accelerare la propria “idea” e di raccogliere i fondi per realizzarla attraverso una campagna di crowdfunding. C’è poi Ignition Lab, appuntamento settimanale con scienziati, artisti, manager, musicisti e campioni sportivi che portano il loro esempio e la loro esperienza ai ragazzi.
Da quest’anno vedrà l’implementazione della realtà virtuale durante le ore di lezione: gli studenti potranno cioè approfondire alcune materie di studio con l’utilizzo della realtà virtuale che gli permetterà, per esempio, di “viaggiare” nello spazio. Questo progetto è stato sviluppato e realizzato da BigRock.
“Uno dei temi centrali è quello della didattica che utilizza il digitale: il nostro scopo è quello di fare cose nuove usando strumenti nuovi, e non cose vecchie con strumenti nuovi. Si può infatti innovare la didattica utilizzando i nuovi strumenti dentro un percorso che mantenga ciò che è riconosciuto valido dalle neuroscienze: l’uso della penna non serve più per comunicare con il ‘pen friend’ ma per sviluppare metacompetenze quali la gestione dello spazio e lo sviluppo del ‘pensiero lento’”, conclude Bordignon.
C’è infine il progetto di H-Campus, di cui abbiamo già parlato, che sarà con tutta probabilità completato entro il 2019.
Insomma abbiamo visto uno spazio estremamente innovativo e stimolante per i ragazzi, ma ha ovviamente un costo, trattandosi di una scuola privata, e va dagli 11.000 ai 17.000 euro all’anno, la laurea 7500 euro all’anno e master di Big Rock 6400 euro più IVA per sei mesi intensivi. La retta comprende, tra le altre cose, la fornitura di iPad e Mac per ogni studente di H-International School. Non è economica, non è per tutti (almeno per ora) ma non vuole essere per forza elitaria, dato esistono borse di studio e rette finanziabili: può essere comunque presa come esempio di eccellenza e stimolo anche per altre realtà. Ora però è il momento di scendere sulla Terra.
Il futuro della scuola digitale in Italia
Che l’attuale governo stia smantellando la Buona Scuola di Renzi è un dato di fatto. Inoltre dalle ultime dichiarazioni all’Agi del ministro dell’Istruzione Bussetti si può iniziare a ragionare sulla direzione che si vorrebbe intraprendere per rendere davvero digitale la scuola italiana, senza dimenticare tutti i problemi, molto importanti, collegati ad essa: edilizia scolastica, vaccini, bullismo e cyberbullismo.
A parte il tesoretto di 7 miliardi “trovato” che servirà nel prossimo futuro per erogare risorse, il ministro parla di “accelerare” anche sul digitale, termina molto in voga nel mondo delle startup. Questo significa connessioni più veloci, strumentazioni adeguate e scuole smart nella metodologia didattica. Anche se ha reputato il Piano Nazionale Scuola Digitale molto ambizioso, ora bisogna passare ai fatti. Gli zaini pesanti sostituiti dagli armadietti, cellulare in classe non vietato e tecnologia non vista per forza come un nemico, ma come uno strumento e potenziale alleato.
I prossimi mesi saranno decisivi per diversi motivi: sarà innanzitutto pubblicata una nuova ricerca sulla rivista Policy&Internet dell’Oxford Internet institute svolta da un gruppo coordinato da Marco Gui dell’università Bicocca e ci sarebbero dati discordanti anche sulla scuola digitale in Italia, in particolare riguardo l’impatto poco significativo di lavagne interattive e determinati strumenti tecnologici per l’apprendimento, ma bisognerà visionare la ricerca completa per trarne dati concreti. Appuntamento poi dal 18 al 20 ottobre a Firenze a Didacta, la fiera sull’innovazione didattica, dove il governo coglierà l’occasione per lanciare la sua visione sulla scuola digitale.
Candido Romano, Business Insider Italia