Nel mondo dipinti, antiquariato e gioielli d’epoca, secondo la banca Ubs, muovono cifre da capogiro. Ma non è più un settore per “ricchi”: l’11% delle opere costa meno di mille dollari. Il 20% è stato battuto tra mille e 5mila. Gran parte delle transazioni va da 5mila a 50mila dollari
Un mercato che vale 64 miliardi di dollari e cresce del 12%, un ritmo che non si vedeva dall’alba della crisi iniziata dieci anni fa. Collezionisti e mercanti, ma anche investitori lontani dai movimenti artistici o digiuni di antichità e opere d’arte, nel 2017 hanno ricominciato a spendere preferendo un quadro o una scultura appesa in casa piuttosto che un lingotto d’oro chiuso in cassaforte.
Gli americani restano saldamente in testa per volumi e valore delle vendite ma la sorpresa è rappresentata dai cinesi che, con una crescita del 14% e 13 miliardi di dollari spesi, hanno superato i mercanti di Sua Maestà salendo al secondo posto. Nella classifica dei Paesi con il maggior numero di vendite c’è anche l’Italia che per volumi di opere d’arte si piazza comodamente nella top ten con un 2% del totale poco sotto i (ricchi) svizzeri, spagnoli, francesi e al pari di compratori giapponesi, australiani e asiatici. Le transazioni di oggetti e opere d’arte in Europa, vedono al primo posto la Gran Bretagna col 62%, seguita da Francia, Germania, e al quarto posto Italia, Spagna e Austria a pari merito.
L’altra sorpresa che emerge dal report di Ubs “The art market 2018”, è l’espansione delle operazioni messe a segno online, una crescita che non uccide posti di lavoro: i dipendenti del settore restano stabili a 3 milioni di persone nonostante il boom di Instagram (vero punto di riferimento per artisti e collezionisti) e dei siti specializzati, ormai all’8% del totale. Insomma, l’arte scende dal piedistallo e non ci sono solamente i soliti nomi a gestire e muovere il settore, un gruppo di 200 investitori col portafogli gonfio di denaro, pronti a spartirsi opere d’arte, i gioielli, le collezioni più ambite.
E l’Italia, in questo campo che vive di forme e colori, non può lamentarsi: siamo nella top ten per vendite, gallerie, mostre, privati e istituzioni, che si muovono su questo mercato da sempre molto volatile e totalmente dipendente dalla crescita e dallo stato di salute dell’economia mondiale. E visto che il Pil sale crescono anche le richieste di opere d’arte che puntano quasi sempre su artisti dal dopoguerra in avanti, con Basquiat e Andy Warhol in pole position, mentre Legér e Picasso se la battono alla grande tra i “moderni”.
Ma secondo lo studio che declina lo “Stato dell’Arte” nel mondo, la rivoluzione delle vendite online sta contagiando anche i piccoli acquirenti, persone che scelgono l’arte e appendono quadri o mostrano sculture in casa tradendo altri beni rifugio, come oro o azioni. La marcia senza freni delle vendite sul web oggi rappresenta, il 2% sviluppato dalla sola piattaforma Instagram e il 6% sull’online in generale rispetto alla totalità degli “altri canali” di vendita. Quindi circa l’8% è rappresentato dal web, contro un 24% di mercanti e gallerie d’arte, il 19% delle fiere o mostre, il 18% degli studi degli artisti, 10% delle aste.
Infine la rivoluzione delle vendite online sta anche cambiando il volto al settore sul lato dei prezzi: l’11% delle opere vendute costa meno di mille dollari. Il 20% è stato battuto tra mille e 5mila mentre il grosso delle transazioni riguarda la fascia intermedia che va da 5mila a 50mila dollari a “pezzo”. Quindi i due terzi del mercato non costano un occhio. Ma gli acquirenti di fascia alta – pur rappresentando soltanto il 26% del totale per volumi di vendite – muovono il 70% del totale se si guarda al valore delle opere acquistate. E la scelta cade 8 volte su dieci, sull’arte contemporanea, la preferita dagli acquirenti.
Lucio Cillis, Repubblica.it