L’ad di Unicredit fa un bilancio dell’azione degli ultimi 12 mesi durante i quali il titolo è salito dell’85%. «L’Italia? Adesso gli investitori ci credono di più»
Un comunicato di una paginetta con l’elenco delle cose da fare, dove già si intuivano le operazioni che si sarebbero perfezionate nei mesi successivi, dalla vendita di Pekao alla cessione delle due tranche dib, all’operazione Pioneer. E l’aumento di capitale, 13 miliardi tutti sottoscritti dal mercato. Era giusto un anno fa. Jean Pierre Mustier, amministratore delegato di Unicredit, ci tiene a dirlo: «Non è stato un anno difficile, direi un anno intenso. Nel quale ho lavorato con il team della banca e con i soci. E i risultati sono arrivati. In dodici mesi le azioni Unicredit sono cresciute dell’85%».
La cosa più complicata?
«Abbiamo avviato una profonda trasformazione della banca. Dovevamo diventare una semplice, banca commerciale paneuropea. E rafforzare il capitale spiegando agli investitori non solo il nostro piano, ma anche che l’Italia era un Paese sul quale investire, rappresentava un’opportunità. Molte volte si dimentica che questo Paese ha la seconda industria manifatturiera in Europa e la settima al mondo….»
Ma anche un sistema bancario che a un certo punto è apparso molto a rischio: Mps, Veneto banca, Vicentina, Etruria…
«Oggi si può dire che il rischio sistemico è alle nostre spalle. L’intervento del governo è stato molto coraggioso e la soluzione che è stata trovata può trasformare la percezione dell’intero sistema bancario italiano. La riduzione del rischio si è già rivelata molto favorevole per tutte le banche quotate. Lo scenario, adesso, è molto diverso. E positivo. Mi ha ricordato quando, da giovane banchiere, lavorai al salvataggio di Alstom. Andava fatto, i risultati sono arrivati»
A che punto è il piano che avete avviato un anno fa?
«Abbiamo mantenuto gli impegni e continueremo a farlo. Dopo l’aumento di capitale, abbiamo una situazione patrimoniale molto solida. Stiamo riducendo i costi: meno 1,7 miliardi all’anno dal 2019. Niente voli privati, viaggiamo in economy. Ci sono uscite concordate per circa 16 mila collaboratori assumiamo 2.000 giovani . Dovevamo ridurre il nostro profilo di rischio e lo abbiamo fatto. La cessione degli Npl a Pimco e Fortress verrà completata nelle prossime settimane»
Sì, ma la media delle sofferenze in Italia è decisamente più alta rispetto all’Europa…
«Però il trend è positivo. Diminuisce lo stock e anche i nuovi flussi. Noi abbiamo affrontato il problema in maniera decisa e la vendita delle sofferenze si è riflessa molto positivamente sul valore dell’azione. Gli accantonamenti sono stati assai consistenti, siamo quasi al 67% di copertura delle sofferenze».
L’Europa riparla di bad bank…
«L’acquisto di Npl con fondi pubblici andrebbe fatto comunque a valori di mercato, per evitare distorsioni. Intanto una cosa è certa: l’azione del governo italiano su Mps e sulle Venete è stata molto positiva, utile per tutto il sistema».
Lei ha avuto un ruolo in questi salvataggi…
«Quando sono stato chiamato dal governo per trovare una soluzione alle banche venete una cosa era chiara: la liquidazione sarebbe stata una catastrofe e al sistema sarebbe costata 11 miliardi. Per evitarla abbiamo esplorato l’ipotesi di un impegno proporzionale di tutte le banche. Poi c’è stato l’intervento di Intesa, una buona soluzione»
Potevate comprarle voi?
«In questa fase non siamo compratori di banche, né in Italia né in Europa. E sarebbe stato difficile spiegare ai nostri azionisti la volontà di comprare mentre siamo impegnati in un piano di profonda trasformazione, che prevede esclusivamente una crescita organica. Ma lo ripeto: i salvataggi avranno un impatto positivo sul Paese»
Certo, ma il debito pubblico al 133% non aiuta…
«Vero. Il rapporto tra debito e Pil è oltre il 133% mentre in Francia è al 96%. Ma se si guarda al debito complessivo la differenza con la Francia è minima. Con un deficit, che nonostante i margini di flessibilità, resta sotto la soglia del 3% Abbiamo un avanzo primario e un avanzo commerciale positivi. In Francia sono negativi…»
Cosa fa, uno spot per l’Italia?
«Lo dicevo anche un anno fa. C’è l’abitudine a lamentarsi delle condizioni del Paese. Io credo invece che la crescita possa arrivare al 2%. Anche la soluzione per le banche e la cessione degli Npl potrà funzionare come spinta per la crescita. Ne sono convinto. 20 miliardi per i salvataggi sono poco più dell’1% del Pil: infinitamente meno di quanto hanno fatto altri Paesi europei . È un momento di svolta»
Tra le spine, resta l’Alitalia…
«È stato un dossier molto costoso per noi, con perdite per 500 milioni. Noi tifiamo per una buona soluzione, vediamo. Però ripeto, ci si sofferma troppo su questi aspetti negativi mentre l’Italia ha molte potenzialità…»
Non è troppo ottimista…
«No. È importante guardare i numeri e guardare un po’ oltre. In molti campi le aziende italiane sono leader . Non va dimenticato».
Quando è partito l’aumento i timori sull’Italia erano molti…
«Se penso ai discorsi che sentivo dodici mesi fa, i timori sulle banche, sui Btp, sugli Npl. Però alla fine gli investitori hanno creduto nel nostro progetto industriale e oltre il 65% degli azionisti sono investitori internazionali. La dimostrazione che i mercati sono molto attenti a vedere le cose che si fanno più che ascoltare parole»
Come vede il piano industriale di Mediobanca?
«Siamo il primo azionista, vediamo uno sviluppo positivo. Il successo di Mediobanca è importante per noi, Siamo molto interessati a supportarlo»
Avete firmato l’intesa con Apple, per certi versi il “nemico”?
«Non credo. Significa offrire ai clienti un servizio. Ed è meglio che a farlo siamo noi e non i nostri concorrenti. E anche le fintech sono importanti ma vorrei ricordare che Unicredit ha 25 milioni di clienti e ha concluso un aumento di capitale da 13 miliardi, le fintech hanno zero clienti e spesso zero capitale. Hanno buone idee che si possono sviluppare insieme».
Lei vive tra Londra e Milano, come vede l’effetto Brexit?
«È la prima città in Europa che sta cominciando a beneficiare della Brexit. Quando abbiamo ceduto la maggioranza di Pioneer ad Amundi, il gruppo ha rafforzato i suoi uffici di Milano. Questa città è seconda solo a New York come numero di consolati presenti, il che dimostra le sue grandi potenzialità. dovremmo raccontarlo un po’ di più».
Il Corriere della Sera