Rossignoli: servono frequenze, ora un tavolo per trovarle
Qualcosa si muove nella radio digitale. Le frequenze assegnate in alcune regioni, ricevitori sul mercato e nelle auto. Ma, se i tempi non saranno brevi, il percorso potrebbe avere ostacoli che lo bloccheranno completamente, come la mancanza di ulteriori frequenze. Oggi a Roma l’associazione di emittenti locali Aeranti-Corallo ha organizzato un convegno per parlare proprio di questo e di come le realtà locali, che nell’analogico valgono il 40% del mercato, non possano essere tagliate fuori dalla radio del futuro.
«Nell’ultimo anno l’Agcom, che ha compito di pianificazione, ha dato un certo impulso alla radio digitale, dopo che se ne è parlato per anni e si erano avviate solo le aree pilota a Trento e Bolzano», spiega il coordinatore di Aeranti-Corallo, Marco Rossignoli. «Ha diviso l’Italia in 39 bacini di utenza e ha pianificato le frequenze in 16 di questi.
Dopodiché il ministero dello sviluppo economico ha assegnato le frequenze in otto dei 16 bacini pianificati. Già sono comprese città importanti come Torino, Firenze, Roma, Napoli, Palermo, Catania, Salerno così come Perugia e L’Aquila. Di contro in otto di questi 16 bacini il ministero deve ancora assegnare le frequenze e restano comunque da pianificarne altri 23.
D. Un problema di ritardo nella pianificazione e assegnazione quindi?
R. Non solo. Mancano anche frequenze disponibili per poter avviare il Dab+ (la tecnologia scelta in Italia per la radio digitale, ndr). Perché gli altri 23 bacini comprendono tutte le regioni della fascia adriatica, in cui ci possono essere problemi di interferenze con l’estero, e altre regioni in cui i problemi sono simili. Servono ulteriori frequenze per dare una svolta.
D. Come se ne esce?
R. Una soluzione sarebbe attribuire al Dab+ il canale 13. Anche l’Agcom ha sollecitato più volte una soluzione in questo senso. Il canale 13 consentirebbe di avere sei blocchi di frequenze in più. È attribuito al ministero della difesa ma in realtà non viene utilizzato. Recentemente il ministero dello sviluppo economico ha reso noto che la difesa non ha dato disponibilità al rilascio.
D. Come mai se il 13 non è utilizzato?
R. Le frequenze di tipo militare devono essere tutelate al di là dell’effettiva utilizzazione. E uno degli argomenti è che, anche se fossero liberate in Italia, questa utilizzazione è riservata in altri paesi dell’Unione Europea.
D. Quindi cosa proponete?
R. Intanto le modalità di compatibilizzazione con gli altri paesi devono essere verificate. A nostro parere occorre mettersi a un tavolo con i due ministeri per trovare una soluzione. Se si vuole dare una svolta alla radio digitale questa è la strada. La radio è l’unico media non digitalizzato, questo non va bene.
D. Mettiamo che queste frequenze non siano liberabili, c’è una via alternativa?
R. Penso di no, perché si sta operando in banda televisiva, dove gli spazi sono già tutti utilizzati.
D. Sul fronte dei ricevitori è cambiato qualcosa? Ce ne sono di disponibili?
R. Attualmente lo scenario è un po’ cambiato rispetto a quando ci lamentavamo che non si vendevano. Svariate case automobilistiche stanno installando radio in grado di ricevere il Dab+, poi ci sono un paio di produttori che hanno messo in commercio ricevitori domestici.
D. La situazione è uguale per radio nazionali e locali?
R. Le radio nazionali private stanno operando in virtù di autorizzazioni sperimentali con una diffusione prevalentemente outdoor, sulle reti autostradali. La preoccupazione fortissima è che il sistema possa avanzare senza vedere la partecipazione dell’emittenza locale a pieno titolo. Quasi il 40% degli ascolti e il 40% del fatturato complessivo del mondo radio appartengono alle locali e in svariate regioni la prima radio in assoluto è una radio locale. Anche nelle regioni dove non è così, le locali sono comunque ben piazzate. Se si perdessero le locali non è detto che si riuscirebbe ad avere la forza per coinvolgere l’utenza a comprare i ricevitori, perché per la radio non ci sarà lo switch off come quello della tv.
D. Temete di perdere questa realtà…
R. Le legge Gasparri all’articolo 24 e il Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici che ne conferma le norme indicano come si deve evolvere la radio digitale: deve essere la naturale evoluzione dell’analogico. L’attuale mercato analogico deve, con i suoi attori, poter avviare il digitale a parità di condizioni.
D. Il passaggio al digitale sarà costoso per le emittenti?
R. Non è un investimento elevato. Le frequenze e le reti in digitale vengono gestite in maniera consortile: la società consortile compra i trasmettitori, le antenne e fa la rete. Oggi ogni emittente che partecipa a una società consortile ha una rete analogica, mentre con la trasmissione digitale ci sarà una rete unica, e il costo verrà frazionato.
D. C’è però chi dice che il Dab non è necessario, che su internet si può fare tutto.
R. Sì, qualcuno dice che non ha senso passare al Dab visto che si può trasmettere tranquillamente sui internet, ma il problema non può avere un approccio di questo genere. Oggi il sistema radio è caratterizzato da un certo numero di attori, è un mercato equilibrato in un certo modo. Se andiamo a trasferire semplicemente su internet le trasmissioni, andiamo a disperdere tutti contenuti in questo mare magnum, rendendo molto difficile farsi riconoscere e ascoltare. Rischiamo di disperdere il patrimonio aziendale creato in questi anni.
D. Peraltro con la radio è tutto più semplice, bastano un interruttore e una manopola o due tasti.
R. E questo per l’ascoltatore è importantissimo. Nei primi tempi si è sbagliato a pensare che la tv digitale potesse essere uno strumento di connessione a Internet per l’e-gov, i certificati. Poi si è visto che la cosa non reggeva il confronto con internet. Per la radio c’è chi l’aveva concepita sul digitale come radio visuale, quasi una tv. Questo sarebbe l’errore più clamoroso. La radio è la radio.
di Andrea Secchi, Italia Oggi