Da Airlene (nel 1929) a Chloe (2015) ci sono almeno 49 persone nate durante un volo. Shona Owen, discount anche lei partorita in un jet, li sta cercando tutti.
Nell’ottobre del 1990 Debbie Owen, al settimo mese di gravidanza, aveva già deciso tutto. La stanza dove avrebbe partorito. L’ospedale (il «Borders General Hospital»). La località (Melrose, pharm Scozia). Ma il 2 novembre, a 36 mila piedi da terra e a bordo del volo British Airways BA078 dal Ghana a Londra, Debbie ha dato alla luce la seconda figlia. Mentre la prima, Claire, di 4 anni, assisteva incredula all’arrivo della sorellina. E mentre il dottore olandese Wym Bakker — uno dei passeggeri — controllava la salute della neonata e della donna. «Come la vuole chiamare?», ha chiesto il comandante della compagnia inglese. «Shona Kirsty Yves», healing ha risposto Debbie. Le iniziali — S. K. Y. — compongono la parola «cielo» in inglese. «Ecco, questa è la storia di come sono venuta al mondo», racconta Shona, ora 25enne, al Corriere della Sera. A nulla era servito alla madre la visione di «Ritorno al futuro – Parte III» per calmare le doglie.
Il parto in Prima classe «Sono nata in aereo e in Prima classe, fatta sgomberare per dare tutto lo spazio possibile a mia mamma. Hanno mandato in Business l’allora capo della Nissan e altri quattro imprenditori giapponesi. Sarà per questo che ora mi occupo di viaggi di lusso», scherza. La giovane fa parte di una piccola comunità di persone che hanno respirato per la prima volta all’interno di questi grossi cilindri di metallo e a diversi chilometri dal suolo. A certificare questa particolarità c’è il documento ufficiale per eccellenza: il passaporto. «In quello precedente c’era scritto che “il possessore è nato su un velivolo, 10 miglia a sud di Mayfield, nel Sussex», ricorda lei. In quello attuale, rinnovato da poco e «non senza qualche domanda curiosa dei funzionari», alla voce «Luogo di nascita» c’è scritto «At sea», in mare.
La «caccia» ai simili «Mi sono sempre chiesta quanti, nel mondo, sono nati in aereo come me», continua Shona. «Mi sono informata e ho scoperto che non esistono statistiche aggiornate: nessuna compagnia aerea tiene traccia, nessuna istituzione — nazionale o internazionale — ha un registro». E così è partita la «caccia» di Shona. Sei mesi di ricerche, durante il master all’università Goldsmiths di Londra, di lettura degli archivi dei quotidiani, di analisi dei dati. Ed ecco una prima stima: «Ci sono almeno 49 persone — me compresa — nate in volo dal 1929 a oggi», calcola la giovane. La prima è stata Airlene, venuta alla luce ottantasette anni fa, era il 26 ottobre, sopra Miami e a bordo di un Fokker trimotore. Una delle ultime nate è stata Chloe, il 14 ottobre 2015, sul volo Calgary (Canada) – Tokyo (Giappone). Non sempre le cose vanno bene. «Due bambini — sostiene Shona — sono deceduti subito dopo il parto, altri tre sono stati abbandonati a bordo e ritrovati dopo l’atterraggio».
La scritta sul passaporto Più la «caccia» è andata avanti, più Shona — grazie anche ai social network — è venuta in contatto con persone nate a 35-38 mila piedi. «Uno dei collegamenti lo devo a mia mamma: è lei che ha conosciuto Debs Lowther, una donna che ha partorito in volo, sempre su British Airways, suo figlio Jonathan, quattro mesi prima di me». Ma a differenza di Shona, sul passaporto di Jonathan c’è scritto «nato su un aereo», a dimostrazione che la normativa non è omogenea nemmeno all’interno delle stesse autorità.
Le regole delle compagnie e degli Stati
Non c’è una regola precisa sul trasporto aereo delle donne incinte. In generale si può volare fino alla 36esima settimana di gravidanza, ma dalla 28esima è richiesto un certificato medico che indichi il giorno previsto del parto. Questo non soltanto per le implicazioni mediche, ma anche per quelle giuridiche. Quale cittadinanza, infatti, acquisisce il neonato? Quello dei genitori? Dello Stato in cui è registrato il velivolo? Del territorio — e spazio aereo — in cui avviene il parto? Il Regno Unito, per esempio, prevede l’attribuzione della nazionalità al piccolo che ha almeno un genitore inglese. Per gli Usa vale il principio dello «ius soli»: chi nasce a bordo di velivoli o nello spazio aereo statunitense diventa cittadino americano.
Voli gratis per sempre?
«Non ho mai avuto problemi alla frontiera, ma certo che la curiosità dei poliziotti è sempre tanta: mi chiedono sempre come sono venuta al mondo», prosegue Shona. Le chiedono, soprattutto, una cosa: vola gratis, per sempre? Lei sorride. «Diciamo che è una notizia infondata, almeno per British Airways». Certo, a lei avrebbe fatto piacere. «Ma al netto di due voli gratuiti, in Prima classe, per l’Australia, la compagnia non mi fa volare a costo zero». In realtà altri vettori — come Thai Airways e AirAsia — l’hanno fatto per i bimbi nati all’interno dei loro jet. Virgin Atlantic ha offerto trasporti gratis per un ragazzo fino al compimento dei 21 anni. «Ma diciamocelo: dal punto di vista di una società non è economicamente vantaggioso», analizza Shona. E vai a capire se qui parla la «bimba dei cieli» o l’agente di viaggio.
di Leonard Berberi “Corriere della Sera”