Nei primi sei mesi dell’anno il valore delle esportazioni della Sardegna, pari a 6,6 miliardi di euro, è aumentato del 61% rispetto allo stesso periodo del 2021. Ma, al netto dei prodotti petroliferi, il semestre si è chiuso con un calo dell’8,4%, il secondo risultato peggiore in Italia, dopo quello del Molise.
Il saldo tra import ed export è arrivato a oltre 2,3 miliardi di euro di maggiori importazioni: la Sardegna, dunque, è una delle regioni italiane con la bilancia commerciale più squilibrata, circostanza dovuta anche alla elevatissima quota di import di materie prime per l’industria petrolifera. Lo rileva la Cna regionale, secondo cui il calo si deve quasi esclusivamente al crollo (-69%) delle vendite di prodotti dell’industria metallurgica.Il settore petrolifero, invece, nel semestre ha totalizzato vendite all’estero per oltre 3,6 miliardi di euro, pari a più dell’85% del totale. In aumento anche l’export dei i prodotti chimici: +14,6% rispetto al 2021. Tengono quelli agroalimentari (+10%), soprattutto grazie al comparto vitivinicolo e a quello della pasta e dei prodotti da forno.
Cala del 5,5 l’export di formaggi e derivati, flessione compensata dalla crescita dei prezzi. In particolare, il pecorino è arrivato, a giugno, a quasi 12 euro al chilogrammo, un prezzo persino superiore a quello del parmigiano reggiano.
In un contesto di rapida ascesa dei prezzi all’import si amplia infatti il saldo tra import ed export.
“L’incremento medio dei prezzi dei beni importati è quantificabile in un +46% rispetto al primo semestre del 2021, con punte del +83% per quanto riguarda le commodity industriali (soprattutto idrocarburi)”, sottolineano Luigi Tomasi e Francesco Porcu, rispettivamente presidente e segretario regionale della Cna Sardegna. “Questa crescita dei prezzi, su cui impatta anche l’indebolimento della moneta unica nei confronti del dollaro, mette pressione al sistema delle imprese, ne riduce i margini e si riflette, indirettamente, sul livello dei prezzi per i beni al consumo. Il contesto di rapida ascesa dei prezzi all’import e i costi sull’energia significativamente più elevati che le imprese sarde sostengono rispetto ai competitors rischiano di mettere fuori mercato pezzi importanti del tessuto produttivo isolano”.