Vedo sempre di più la Fondazione come un luogo di idee, dedicato non solo alle arti visive. La mia formazione culturale è basata sulla letteratura, sul cinema, sul teatro più che sull’arte contemporanea. Poi l’incontro con gli artisti ci ha incoraggiato a organizzare mostre, abbiamo imparato strada facendo. Ora con questo progetto sulle neuroscienze allarghiamo ulteriormente il nostro campo d’interesse. Cominciando dal tema più rilevante: il cervello umano. Anzi, i cervelli, al plurale».
Racconta Miuccia Prada di aver scoperto la tecnologia digitale con il primo lockdown. Ora si prepara al secondo. Proprio domani comincia il convegno on line che avvia il percorso chiamato «Human Brains», in cui sono stati coinvolti i principali centri del mondo che si occupano del tema. «Da anni pensavo a un progetto incentrato sulle scienze. La difficoltà è raccontare il pensiero scientifico in un’istituzione nata per le arti visive. Mi sono rivolta a Massimo Cacciari, che mi ha aiutato a capire da quale parte incominciare. Mi ha indicato le neuroscienze come tema cruciale del presente e del futuro. Sapevo sarebbe stata una sfida molto difficile. Così abbiamo cominciato a mettere insieme un gruppo di ricercatori ed esperti in varie discipline, che compongono un comitato scientifico presieduto dal neurologo Giancarlo Comi. È un tentativo che nessuna istituzione d’arti visive finora aveva fatto; anche se riuscirà solo in parte, l’intento è talmente ambizioso che ne sarà valsa la pena. Perché la Fondazione dev’essere in qualche modo utile e collegata al mondo attuale. La cultura non è un fiore all’occhiello; è qualcosa che serve alla tua vita. Oggi la cultura è messa in discussione, le élites culturali sono additate come nemiche del popolo. Ma noi vogliamo aiutare il pubblico ad avvicinarsi alla scienza, e non in modo superficiale».
Miuccia Prada racconta l’entusiasmo degli scienziati per la proposta. «Sono stata presente a molti incontri con i componenti del comitato scientifico. Subito è emerso che l’aspetto più interessante era il cervello: com’è fatto, come funziona. I ricercatori e i medici che abbiamo coinvolto sono felicissimi di poter finalmente raccontare cosa si muove dentro la mente umana. Si è discusso molto sul titolo: che deve essere sintetico, ma deve dire la verità. Alla fine è prevalsa l’idea di declinarlo al plurale: «Human Brains». Perché ogni cervello è unico e irripetibile. C’è il desiderio di creare un polo dove gli esperti si potranno incontrare; una fondazione culturale indipendente è forse il luogo migliore per tenere collegate queste persone».
Non trova inquietante lo scenario aperto dall’intelligenza artificiale? Siamo entrati nell’era della riproducibilità dell’essere umano: fabbricheremo creature che avranno come cervello il computer, e come memoria la rete… «È un tema che richiederebbe una mostra a sé, ed è una delle priorità del comitato scientifico. Se ne parlerà già nel convegno della prossima settimana. Prima però è giusto concentrarci sul funzionamento del cervello: il segreto della coscienza, della creatività, della volontà, dell’inconscio. È affascinante anche la storia dello studio del cervello, conoscere come l’uomo sia stato da sempre interessato a capire dove avessero sede nel corpo il pensiero, le emozioni, la memoria». La localizzazione del pensiero in effetti ha girato per tutto il corpo… «Sì, prima il centro dei sentimenti era considerato il cuore. Aver identificato il cervello come centro del pensiero è una conquista recente; anche se comunemente si parla di ragionamenti di pancia… L’intelligenza artificiale è l’argomento più interessante del futuro. Già oggi il telefonino è l’estensione della nostra mano e della nostra mente, è come avere un’enciclopedia sempre con sé. In futuro basterà inserire un chip nel proprio corpo per conoscere tutte le lingue. È una cosa che alla mia generazione fa un po’ paura. Il punto sarà come gestire questa rivoluzione. Pericolosa, ma anche utile. Tra cent’anni forse sarà talmente normale che non ricorderemo più come eravamo prima».
La tecnologia come estensione del corpo era l’ispirazione dell’ultima sfilata di Prada. «Fino a poco tempo fa ero diffidente: non volevo imparare; ora ho cominciato a guardare alla tecnologia come a un’alleata. Qualcosa è scattato quando mio figlio Lorenzo, che è entrato in azienda, mi ha fatto notare: “Mamma, tu ti occupi di tutto, tranne che di quello di cui si occupa la gente. Soprattutto il web”. È vero, Internet può essere superficiale; ma sta a noi riempirlo di contenuti interessanti, farne lo specchio della complessità del presente. Sono cresciuta in un mondo relativamente piccolo: bianco, europeo, nordamericano. Sto invecchiando in un mondo globale, su cui si affacciano centinaia di Paesi, etnie, culture, religioni. E tutto è collegato. Questo spiega anche le difficoltà dei partiti tradizionali e della politica: i leader faticano a fare proposte importanti, perché leggere la complessità è molto più complicato che nel secolo scorso. Siamo cresciuti dentro la dialettica tra padroni e classe operaia; ma oggi il potere si disperde in mille rivoli. Stiamo già lavorando a una delle prossime mostre, che parte dai contatti via web, e arriva all’idea che ogni persona è un portale. Arundhati Roy ha scritto che la pandemia stessa è un portale; perché ha creato una rete di persone. Nascevano gruppi che si collegavano con altri gruppi. La gente, anche se separata, era più vicina».
La spaventa la prospettiva di un nuovo lockdown? «Sì. La prima volta ero quasi disposta a prendermi una pausa, un periodo di pace. Stavolta il lockdown mi spaventa molto, anche dal punto di vista economico. Uno è duro; due sono terribili. Abbiamo di fronte sei lunghi mesi. Ormai è chiaro che il vaccino non arriverà prima della primavera. Forse avremo prima alcune cure. Il lockdown non sarà facile; ma è inevitabile. Anche a causa degli errori che moltissima gente ha commesso quest’estate».
Dice Miuccia Prada di essere preoccupata soprattutto per i giovani. «Noi il lavoro bene o male l’abbiamo. Molti giovani rischiano di perderlo, o di non trovarlo. Dobbiamo salvare gli anziani; ma dobbiamo pensare anche a loro, i giovani, perché sono proprio loro i più danneggiati». La pandemia ci cambierà? «Sì. Soprattutto con un secondo lockdown. Che toccherà tutti, a cominciare dagli adolescenti. Lascerà il segno, non so dire quale. Temo che saremo più tristi, più depressi. Ma se uno non si deprime, può pensare di più e meglio. E il periodo che ci attende si può rivelare creativo».
«Nel primo lockdown, tra marzo e aprile, ho capito il valore del web. Sono partita da zero. Ho passato l’estate a discutere su potere del web, su come il web crea il pensiero, forse diventa esso stesso il pensiero. Le implicazioni sono più grandi ancora di quel che crediamo. A furia di guardare solo il suo smartphone, un ragazzo si forma un modo di ragionare del tutto diverso. Capisco che lì scorre la comunicazione, scorre la politica, scorre l’esito delle elezioni. Sconsigliarlo è una battaglia persa in partenza; meglio imparare a usarlo bene. Perché forse è una delle invenzioni più importanti nella storia dell’umanità, probabilmente più della ruota. L’idea di tutta la gente connessa in tutto il mondo è choccante. Tanti non vogliono scaricare l’App Immuni per ragioni di privacy, e poi la rete sa tutto di noi».
«Il libero pensiero, la cultura tradizionale non dovrebbero essere in contrasto con il web – conclude Miuccia Prada —. L’intellighenzia, che tende a essere negativa con la rete, dovrebbe imparare a usarla meglio degli altri. Eliminare le stupidaggini è impossibile; è possibile, e anzi doveroso, scrivere cose giuste. Imparare a usare gli strumenti che la gente considera i propri. Tutto è semplificato e velocissimo: il tempo medio di attenzione a un argomento o a un’immagine è passato da trenta a tre secondi. Dobbiamo imparare a dire in fretta cose intelligenti; ma per farlo bisogna avere una visione di quello che immaginiamo sarà il nostro futuro. Occorre un gran lavoro su come rendere le proprie idee chiare e comprensibili. Non si governa un paese con un hashtag, la complessità più di tanto non può essere semplificata; ma in un mondo collegato e veloce avremo per contrasto un grande avanzamento di ciò che è umano e semplice. Una grande rivalutazione del modesto. Nel mio lavoro sta già accadendo. È così che il globale si accompagna al locale: tutto fa paura, la gente tende a circondarsi di cose sicure, di quel che conosce».
Aldo Cazzullo, Corriere.it