La moda scende in campo e chiede al governo di poter ripartire. Finora lo ha fatto attraverso le sue molte rappresentanze. Questa volta sono alcuni dei più importanti nomi della moda mondiale a chiedere di poter riaprire le fabbriche. Da Renzo Rosso a François-Henri Pinault, da Remo Ruffini a Patrizio Bertelli, Gildo Zegna e Tony Belloni. Con l’appoggio di Anna Wintour, la voce più autorevole della moda mondiale. Naturalmente nel rispetto della salute: gli imprenditori della moda non solo sono stati tra i primi a intervenire in sostegno di ospedali, della Croce Rossa, della Protezione civile, ma anche tra i primi a riconvertire le proprie produzioni chi in camici e mascherine, chi in gel igienizzante. Adesso, però, chiedono di poter riaprire le proprie fabbriche, con tutte le regole perché sia garantita la sicurezza. Se si tarderà, si finirà per distruggere la filiera, che è un unicum mondiale. Una serie di piccole, piccolissime aziende, di artigiani che custodiscono ciascuno un pezzetto del grande sapere della moda. Chi fa fibbie, chi bottoni, chi pellami pregiati o tessuti particolari, in una serie infinita di competenze che si sono tramandate finora. Ma sono, appunto, piccoli: se non lavorano chiudono.
Come imprese, si sono organizzate o si stanno organizzando secondo uno schema che prevede dotazioni di mascherine e guanti, igienizzanti per pulire tutte le superfici, una nuova organizzazione del lavoro su più turni e con meno persone per ciascun turno così che i lavoratori non si incontrino, oltre a cassa integrazione a rotazione in modo che nessuno resti fuori dal ciclo produttivo.
E non c’è solo la filiera. C’è l’esigenza di essere riconosciuti come un settore portante dell’economia italiana. Sono aziende fortemente esportatrici e per questo sono state tra le primissime ad affrontare la globalizzazione quando ancora questa sembrava solo una parola. C’è chi esporta il 70, chi l’80, chi il 90% delle proprie produzioni. E, dunque, ogni giorno si deve confrontare con i costi e i posizionamenti dei concorrenti, i quali in molti casi non si sono mai fermati, se non hanno fabbriche italiane. Il sistema della moda è una grande realtà produttiva che nessun governo — escluso il governo Renzi — ha preso in seria considerazione. Mentre all’estero, per fare un esempio, il premier francese Macron lo cura con attenzione. Al G7 di Biarritz per parlare di sostenibilità ha voluto François-Henri Pinault, il grande capo di Kering. Nel Regno Unito persino la Regina Elisabetta è stata vista seduta in prima fila alle sfilate. I negozi dei brand sono nelle vie più importati del mondo e, insieme alle esportazioni, creano l’immagine del Paese . Notano che nella neo costituita task force per la ripartenza, guidata da Vittorio Colao, non ci sia un imprenditore del settore. Anzi, nessun imprenditore.
In numeri, sono il primo esportatore italiano, la seconda manifattura del Paese, contribuiscono per la metà della bilancia commerciale. Il 41% della produzione di tessile abbigliamento europea è fatta in Italia e siamo i primi produttori di moda di lusso del mondo (tutti i grandi nomi internazionali producono nei distretti italiani, per questo abbiamo sentito anche i due colossi francesi Lvmh e Kering). Qui le loro opinioni sintetizzate, rinviando interviste e interventi completi ai prossimi giorni.
Renzo Rosso, fondatore e presidente di Otb, il gruppo da 1,5 miliardi di euro a cui fanno capo i marchi Diesel, Maison Margiela, Marni, Viktor&Rolf e Amiri, e le aziende Staff International e Brave Kid
«Solo a Vicenza ci sono già 486 famiglie che non sanno dove andare a mangiare e 60 sono di piccoli imprenditori, forza del nostro Paese. Se non ci fanno riaprire le aziende al più presto la nostra filiera sarà spazzata via per sempre. Ci abbiamo messo 100 anni a costruirla, sarebbe drammatico. Trovo incomprensibile che siano aperte imprese che producono pezzi di ricambio per l’industria automobilistica tedesca ma non imprese che reggono le esportazioni e il Pil dell’Italia. Moda, turismo, commercio. Dovremmo anzi approfittare per riportare produzioni in Italia con leggi come quella sul rientro dei cervelli».
Anna Wintour, direttrice di Vogue America
«Dopo questa crisi, la moda dovrà essere più speciale e meno usa e getta. L’Italia, con la sua incredibile attenzione all’artigianalità e all’innovazione nel design, mostrerà la via. Abbiamo sempre guardato al vostro Paese per vedere come l’immaginazione e l’industria possano lavorare assieme in modo così impressionante. L’Italia ha capito per prima che per avere successo nella moda bisogna essere locali e globali. Ma i due milioni di persone che ruotano attorno alla moda italiana avranno bisogno anche del supporto del governo. E questo sarà non solo un investimento necessario per il presente, bensì una visione prudente del futuro».
Antonio Belloni, direttore generale di Lvmh, storico braccio destro del fondatore Bernard Arnault. Lvmh ha 53,7 miliardi di euro di ricavi attraverso marchi tra i quali Dior, Fendi, Bulgari. In Italia ha 8 maison e quasi 11.000 dipendenti
«Lo sviluppo di prodotti di alta qualità e la loro produzione sono una competenza chiave italiana. Le filiere del lusso sono un vantaggio competitivo e occupano centinaia di migliaia di persone. Oggi la priorità è il contenimento del virus, ma è necessario creare le condizioni per riattivare le filiere produttive, per essere pronti alla riapertura progressiva dei mercati nei prossimi mesi. La situazione drammatica che il mondo sta vivendo avrà un impatto sul modello di società. Non potremo essere sordi, ma dovremo ascoltare con attenzione i segnali deboli, per rispondere in modo responsabile ed innovativo a questi cambiamenti».
François-Henri Pinault, presidente e amministratore delegato di Kering, gruppo da 15,9 miliardi di euro, attraverso marchi tra i quali Gucci, Saint Laurent, Bottega Veneta e Pomellato. In Italia ha 10.000 dipendenti
«Il futuro di un intero settore con migliaia di realtà imprenditoriali che collaborano con i nostri marchi, è a rischio. Piccole aziende, in prevalenza a gestione familiare, che rappresentano il cuore dell’eccellenza del made in Italy. Abbiamo il dovere di proteggerle per la loro sopravvivenza e per quella del settore. L’unico modo per farlo è consentire loro di riprendere le attività, nel rispetto dei protocolli sanitari e di sicurezza. La moda segue cicli stagionali e può funzionare solo attraverso un delicato e perfetto coordinamento ed equilibrio. Le attività di prototipia devono essere riavviate adesso, altrimenti la filiera sarà paralizzata per il resto del 2020».
Patrizio Bertelli, amministratore delegato gruppo Prada, 3,2 miliardi di fatturato. Oltre al marchio Prada, possiede Miu Miu, Church’s e Car Shoe
«Tutti ci vestiamo la mattina, mettiamo scarpe, non possiamo dimenticare che c’è questa industria. Tra l’altro, il 60% della moda di qualità è realizzato in Italia, io mi porrei la domanda di come difendere il know how che abbiamo, è come difendere un brevetto. Gli operai vogliono tornare al lavoro, sono preoccupati di perdere il posto perché chiusure prolungate mettono a rischio le aziende. Bisogna riaprire seguendo tre criteri: quali sono le regioni più colpite e quelle meno colpite, considerare le tipologie di attività e valutare come fare le attività all’interno delle fabbriche».
Gildo Zegna, presidente e amministratore delegato del gruppo omonimo da 1,2 miliardi di euro. Nella seconda metà del 2018 ha rilevato il marchio americano Thom Browne che sarà consolidato nei conti 2019
«Se non riattiviamo per il 20 aprile almeno le parti della nostra filiera tessile-abbigliamento, mettiamo a rischio migliaia di posti di lavoro. Il processo produttivo non può più essere «sospeso»: la progettazione e lo sviluppo di prodotti, le lavorazioni di tutto il sistema tessile, l’evasione degli ordini come il made to measure, devono ripartire. È necessario che il governo crei una dotazione a fondo perduto per le imprese che mantengono l’occupazione. E per la distribuzione: se non si riducono gli oneri di affitto nel periodo di chiusura del commercio si rischia di azzerare la rete commerciale».
Remo Ruffini, presidente e amministratore delegato di Moncler,
«Come mi ha detto un fornitore l’altro giorno con grande dignità e lucidità di pensiero “Tutto quello di cui abbiamo bisogno è molto semplice: lavorare. Lasciateci riaprire e permetteteci di lavorare”. Impossibile contraddire tanta pragmaticità. Mi unisco a lui la cui voce non avrà mai il privilegio di essere riportata su un giornale. Dateci regole chiare, metri di sicurezza a cui attenerci, test sierologici a cui sottoporci, indicateci i presidi di protezione più corretti, chiaritevi le idee e chiaritele a noi su quello che è necessario per agire nella massima sicurezza e lasciateci riavviare la macchina».
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