L’ironia del regista Fabio Leli nel docufilm pungente e sincero su un tema che crea barriere
L’UNIONE FALLA FORSE, FABIO LELI DIRIGE UN DOCUFILM SU OMOFOBIA
(di Cesare Lanza per Il Quotidiano del Sud) Il regista Fabio Leli (14 settembre 1986, Modugno in provincia di Bari) ha presentato al cinema Beltrade di Milano “L’unione falla forse”. Ha scritto La Repubblica: «Protagoniste del film due famiglie Arcobaleno, una coppia di ragazzi pugliesi con due bambini e due donne palermitane con la loro figlia. La vita tranquilla e serena delle due famiglie, così simile a tante altre, viene interrotta dalle interviste a esponenti di partiti e movimenti vicini al Family Day e al Congresso delle famiglie di Verona, tra cui Mario Adinolfi, Gianfranco Amato, Silvana de Mari e Massimo Gandolfini, che espongono liberamente le proprie idee sull’introduzione della legge, sul tema dell’omofobia e sull’omosessualità». È un documentario pungente e sincero del regista Fabio Leli che attraverso l’ironia ci espone il problema dell’omofobia. Dopo il grande successo ottenuto con “Vivere alla grande”, documentario presentato tra gli applausi al Locarno Film Festivale incentrato sul problema sociale del gioco d’azzardo, il regista barese torna ad indagare le realtà dei nostri tempi: “L’Unione falla forse” arriva nelle nostre sale, ma intanto il film diretto dall’ex studente di Regia e Sceneggiatura dell’Accademia di Cinema e Televisione Griffith ha già ottenuto un importante riconoscimento. Il film, infatti, è stato proiettato in anteprima mondiale a Grenoble dal Festival Vues d’en face. L’accoglienza è stata caldissima, con applausi scroscianti sin dai primi minuti di film. “L’Unione falla forse” parte da lontano, da un’indagine iniziata alcuni anni fa, nel tentativo di comprendere la preoccupazione per l’incolumità della famiglia eterosessuale e dei bambini prodotta dal riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali. «Essendo membro di una famiglia eterosessuale, non riuscivo a comprendere come il riconoscimento giuridico dell’unione di due persone dello stesso sesso, avrebbe potuto mettere in pericolo me e l’incolumità della mia famiglia, nonché la mia eventuale futura progenie. Una ricerca partita quindi spontaneamente nel novembre 2015, mi ha portato a raccogliere un’infinità di materiale audio/video e giornalistico su quello che poi son riuscito a identificare alla fine come vero tema della mia ricerca, di cui all’inizio davvero non avrei mai sospettato: l’omofobia». Utilizzando l’arma dell’ironia, Fabio solleva il velo che copre da sempre l’argomento, mettendo a segno un altro documentario pungente e sincero. “Una risata intelligente contro l’omofobia”, ha titolato l’Espresso. Il frutto di un lungo lavoro, realizzato grazie ad una campagna di Crowfunding che ha per protagonisti due famiglie Arcobaleno e numerosi esponenti di partiti e movimenti vicini al Family Day. Due opposti anche cromatici, il colore e il virato seppia.Da unlatola serenitàdi due famiglie in cui a farla da padrone sono l’amore e la serenità, dall’altra la voce degli omofobi che espongono la propria visione sull’argomento e che risultano, quindi, inevitabilmente ridicoli. In questo 2019, anno in cui invece di spegnere l’omofobia si sta mettendo benzina sul fuoco, arriva per fortuna un film intelligente, necessario.
ACCABADORA DI MICHELA MURGIA A TEATRO CON CARLOTTA CORRADI
La scrittrice Michela Murgia (Cabras, 3 giugno 1972) ha assistito al Piccolo Eliseo Patroni Griffi di Roma ad “Accabadora”, rielaborazione teatrale del suo romanzo, a cura di Carlotta Corradi. La Stampa ha scritto: «Accabadora è uno dei più bei romanzi di Michela Murgia nonché uno dei libri più letti in Italia negli ultimi anni.Pubblicato da Einaudi nel 2009, vince nel 2010 il premio Campiello. La regista Veronica Cruciani ha chiesto a Carlotta Corradi di ricavare dal romanzo un testo teatrale: un monologo che parte dal punto di vista di Maria, la figlia di Bonaria Urrai, l’accabadora dell’immaginario paese sardo di Soreni.
UNA PAROLA DI TRADIZIONE SARDA, NASCE DALLO SPAGNOLO ACABAR
Michela Murgia racconta la storia di Maria, che all’età di sei anni viene data a Bonaria Urrai, una sarta che vive sola e che all’occasione fa l’accabadora. La parola, di tradizione sarda, prende la radice dallo spagnolo acabar, che significa “finire”, “uccidere”. Bonaria aiuta le persone in fin di vita a morire. Maria cresce nell’ammirazione per questa nuova madre, più colta e più attenta della precedente, fino al giorno in cui scopre la sua vera natura. È allora che fugge nel continente per cambiare vita e dimenticare il passato… Per la prima volta Michela Murgia ha deciso di appoggiare e accompagnare la nascita di uno spettacolo nato dal suo romanzo. Spiega infatti: «Carlotta Corradi ha fatto un lavoro di tessitura, utilizzando tutte parole mie, ma in un modo in cui io non le ho usate. C’è un’originalità anche autoriale in questo testo. ‘riduzione’ non va bene: è un ampliamento».