Conosciamo meglio Mattia Barbarossa che adesso sta analizzando una sonda spaziale
(di Cesare Lanza per Il Quotidiano del Sud) Alla ribalta tra i terroni caput mundi oggi c’è uno straordinario terroncino, il giovanissimo diciottenne napoletano Mattia Barbarossa, già considerato un genio, per la sua straordinaria affermazione negli studi sullo spazio (adesso sta studiando una sonda spaziale). Traggo da una sua lunga intervista a ‘In terris’ le dieci informazioni e le battute piu interessanti e coinvolgenti.
1. Si considera un genio?
«È una iperbole. Io non mi sento superiore a nessuno in alcun modo. Quello che posso dire è che mi riconosco come un essere tremendamente curioso e affascinato per le cose che faccio».
2. La passione per lo spazio?
«Certamente non è stata una cosa innata, ma l’ultima di tante. Da piccolo sono stato appassionato di vulcanologia e sono salito sul Vesuvio dieci volte, poi mi sono appassionato di treni e sono andato a vedere tutti i musei dei treni, anche ad Utrecht, in Olanda. Sono stato anche appassionato di microbiologia e mi sono creato in casa dei terreni di coltura per cercare di coltivare le mie colonie batteriche. Inesorabilmente, sono finito allo spazio e, forse, credo nell’indagine sullo spazio. A scuola gli insegnanti mi vedevano con una penna e un foglio a scrivere e dicevano che stavo sempre con la testa fra le nuvole».
3. C’è stato un evento scatenante?
«Non c’è un episodio memorabile che mi ha fatto cambiare strada clamorosamente. Posso dire di avere avuto la curiosità di voler approfondire sempre oltre e, quando ci riuscivo, leggevo sempre di più su un argomento.»
4. E quando la curiosità non ti bastava più?
«Sì, a un certo punto la curiosità non mi bastava più, nel senso che ho sempre avuto due tipi di passioni. Conoscere è la prima, la seconda è trasmettere le emozioni che provo nella scoperta. A 13anni ho tenuto la mia prima conferenza, mi chiamarono anche al planetario in Italia per una conferenza sull’esplorazione spaziale. La ricerca scientifica invece, è partita con i primi concorsi, all’inizio puramente di tipo educativo, come quelli rilasciati dalle agenzie spaziali e di ricerca per stimolare i ragazzi. Il primo vero concorso, vero cioè con impatto sul cambiamento, è stato Lab 2 Moon, indetto da un’azienda indiana, relativo alla progettazione di un esperimento scientifico da mandare a bordo di una sonda lunare che avevano sviluppato. Quando ho partecipato al concorso avevo 16 anni».
5. La famiglia.
«Come dicevo, sono sempre stato curioso sin da bambino, e mi è sempre piaciuta la scienza. Vengo da una famiglia normalissima del ceto medio di Napoli, mia madre è ragioniera, mio padre lavora nell’assistenza clienti di una piccola azienda informatica: entrambi non sono particolarmente interessati alla scienza. Sono un pò uscito come la mela caduta lontana dall’albero, però grazie alla famiglia ho potuto coltivare le mie passioni e alimentare la curiosità».
6. Cosa deve a Napoli?
«A Napoli devo sicuramente la sfacciataggine. Nel mio campo significa parlare di materie senza preoccuparsi di non essere in possesso di qualifiche come la laurea. Ne sono una dimostrazione vivente. In Italia, invece, capita che o non si ha padronanza o, se la si ha, si è timidi. In questo modo non si va da nessuna parte… C’è molta timidezza nella posizione delle proprie idee. Chi lo fa in modo sfacciato,molto spesso non ha veramente idee concrete. Chi lo fa in modo più timido, magari ha anche delle ottime idee, ma la timidezza vince su ogni ambizione».
7. E all’estero?
«Sono stato in India e ho notato una disparità a livello culturale, marcata rispetto a quella italiana. Voglio dire che in India c’è un’apertura mentale diversa rispetto all’Italia. Sarà perché i ragazzi sono quelli che promuovono l’innovazione… Ora mi trovo a cavallo tra due realtà: quella accademica e quella dei ragazzi. In Italia non ci sono realtà vastissime di ragazzi che si occupano di scienze e il distacco che c’è tra i due mondi è tangibile. In India, al contrario, la realtà è diversa perché il legame col mondo accademico è più stretto.Noi siamo un pò fuori dalle righe…»
8. Un consiglio per i suoi coetanei?
«Quello di buttarsi. Il secondo concorso internazionale – avevo 17 anni – lo vinsi perché tenni una conferenza via Skype con la Presidente della Camera di Commercio di Huntsville, in Alabama, in un inglese che all’epoca, come si può immaginare, non era sciolto. Buttarmi è una cosa di cui sono grato perché, se ho potuto fare le cose, forse le ho fatte per stupidità e follia, un pò di sana incoscienza. Mi sono fatto male altrettante volte, è vero, ma quella volta che mi sono buttato e ho accolto i favori della sorte è andata bene».
9. Quali difficoltà ha incontrato?
«Di difficoltà ne ho incontrate diverse. A livello accademico, un ragazzo senza qualifiche viene ovviamente bistrattato dalla comunità, perché sono necessari titoli e qualifiche. Le scuole italiane non permettono di accedere a strumenti di formazione, mentre all’estero spesso le stesse scuole superiori hanno le credenziali d’accesso alle riviste scientifiche e di settore. Tipico dall’Italia è, in ultima analisi, la difficoltà ad accederea mezzi e finanziamenti per portare avanti i propri progetti. L’ho vissuto sulla mia pelle: ho inizialmente lavorato da casa al mio progetto, senza avere gli strumenti e ancora adesso fatico. Non è, poi, facile sopportare una mole di lavoro intensa e sentirsi esclusi».
10.I rapporti con i coetanei?
«Prima del concorso, dai miei compagni di classe sono stato poco tollerato per la mia educazione. Dopo i primi concorsi, la mentalità è cambiata. Ho avuto rifiuto anche da parte di alcuni professori, ma ho imparato a fare mio il motto latino necessitas artium mater, ‘la necessità è la madre delle arti’. C’è, però, gente che ha creduto in me fin dall’inizio. Come i miei professori di Fisica, che mi hanno dato un grandissimo aiuto nel coltivare la passione per la fisica. Un mio insegnante, il prof. Monaco, mi ha fatto addirittura tenere le lezioni di astrofisica, cosmologia e fisica nucleare e mi ha consentito di tenere lezioni per buona parte dell’anno alla classe, permettendomi di spiegare tutti i processi del nucleare e subnucleare e astrofisici che avvengono nello spazio. Come ho detto, la passione che ho per la divulgazione scientifica è tanta e non ha fatto altro che rendermi consapevole di voler trasmettere agli altri, seppur in minima parte, la mia fame di conoscenza per i processi che avvengono in natura. Per ciò che concerne gli ostacoli incontrati e le esperienze di rifiuto, credo che siano stati un modo di adattarsi e sviluppare un metodo di ragionamento diverso». Dei sensazionali progetti di Mattia parleremo un’altra volta.