Nel 1994, eCash rappresentò la prima forma di moneta digitale pensata appositamente per internet. “Potrai utilizzarlo per pagare ogni genere di bene virtuale”, spiegava al New York Times il suo creatore David Chaum. “Ogni articolo che leggi, ogni domanda che poni online; tutto dovrà essere pagato”. Le cose, come sappiamo, non sono andate in questo modo: il modello di business della rete non si sono rivelati i micropagamenti, ma i dati. E così, pochi anni dopo, eCash chiuse i battenti.
Da allora sono passati 25 anni: nel frattempo abbiamo assistito all’avvento dei social network, allo sviluppo incessante del mercato dei dati e a tutte le conseguenze negative legate al cosiddetto capitalismo della sorveglianza (che prevede che tutti i dettagli della nostra vita, resi pubblici attraverso Facebook e gli altri, possano essere monetizzati).
Questo modello, però, sta attraversando non poche difficoltà, tra scandali del calibro di Cambridge Analytica, una maggiore consapevolezza da parte degli utenti e regole sempre più severe per proteggere la privacy (soprattutto nell’Unione Europea). Per i colossi digitali – il cui modello di business è interamente legato al mercato dei dati – è giunto il momento di iniziare a valutare le alternative. Ed è qui che entrano in scena la blockchain e le criptovalute.
Facebook sta studiando da tempo un modo per sfruttare le criptovalute nel suo ecosistema di piattaforme; per la precisione da quando David Marcus, ex presidente di PayPal, è diventato il capo della sezione di Facebook dedicata alla blockchain. L’obiettivo, secondo quanto scrive Coindesk, potrebbe essere quello di “sviluppare una moneta digitale che gli utenti si possano scambiare tra di loro”, ma che in futuro potrebbe anche essere utilizzata per acquistare, per esempio, emoticon esclusive o filtri particolari per Instagram.
In sintesi, se il modello di business basato sui dati dovesse veramente entrare in crisi, Facebook vuole avere pronta un’alternativa in cui gli utenti – invece di essere il prodotto venduto – siano dei normali clienti. Non è tutto: Zuckerberg ha recentemente parlato delle sue nuove visioni in termini di privacy, accennando in un’intervista anche alla possibilità di sfruttare la decentralizzazione della blockchain per consentire agli utenti di fare login su Facebook senza passare dai suoi server (garantendo maggiore sicurezza ed evitando di trovarsi al centro di scandali legati alla protezione dei dati).
Mark Zuckerberg non è l’unico a subire il fascino della blockchain. Jack Dorsey, CEO di Twitter e della piattaforma di pagamenti Square, sta investendo notevoli risorse nello studio delle criptovalute e sembra riporre cieca fiducia nelle loro potenzialità; arrivando ad affermare che i bitcoin diventeranno la “moneta nativa di internet” e annunciando l’assunzione da parte di Square di svariati ingegneri esperti in blockchain (ma ancora non si sa con quali obiettivi).
A oltre un anno dallo scoppio della bolla dei bitcoin (passati dai 20mila dollari del gennaio 2018 ai circa 4mila di oggi), le criptovalute sembrano destare nuovo interesse; soprattutto nel caso in cui il modello di business legato ai dati dovesse entrare in crisi. Una svolta – anticipata da realtà come Telegram, Signal e Opera – che potrebbe contribuire alla nascita di ciò che gli esperti chiamano internet 3.0: una rete decentralizzata basata su blockchain.
Andrea Daniele Signorelli, La Stampa