«I progetti infrastrutturali sono il metro per misurare la visione di futuro che ha un Paese e le sue aspettative di crescita». Pietro Salini lo ripete più volte, commentando il bilancio 2023 di Webuild, chiuso con 10 miliardi di ricavi (+22%) e un utile raddoppiato a 236 milioni. «Questi risultati eccezionali non arrivano dal nulla, ma dal lavoro fatto negli ultimi 10 anni» rimarca il ceo del gruppo infrastrutturale. «Nel nostro portafoglio ordini ci sono già opere per 64 miliardi che ci consentono di avere visibilità sui prossimi sei anni di attività del nostro gruppo e di approfittare delle opportunità di investimenti di Nordamerica, Medioriente, Europa e Italia».
Quali opportunità vedete in Italia?
Il Pnrr ha dato un’enorme accelerazione allo sviluppo infrastrutturale dopo anni di stagnazione. Esaurita questa spinta, ci sono le risorse del bilancio ordinarie, per continuare a correre come fanno gli altri Paesi: ne va della competitività dell’Italia. Ferrovie, strade e ponti sono la base di ogni attività industriale ed economica, turismo incluso».
Riuscirete a completare le opere a voi commissionate nei tempi previsti?
«I lavori stanno procedendo nei tempi e per completare le opere abbiamo in programma 10 mila assunzioni nei prossimi due anni in Italia».
- Dove troverete tanti dipendenti?
«In parte sul mercato italiano, in parte ricorrendo ai programmi governativi per l’ingresso di personale straniero, in parte attingendo alle nostre scuole di formazione che sono ormai in grado di fornirci 1300-1400 persone all’anno, fra manodopera e tecnici specializzati».
A proposito di ponti, è confermato l’avvio dei lavori per quello sullo Stretto di Messina entro l’estate?
«Non ho ragione di credere altrimenti. Gli straordinari risultati raggiunti da Webuild nel 2023 e previsti nel 2024 e negli anni successivi non includono il ponte sullo Stretto di Messina, per il quale si attende l’approvazione finale da parte del Cipess del progetto definitivo, prevista nei prossimi mesi. I lavori potranno quindi iniziare subito dopo. Ogni giorno l’avvio dei lavori si avvicina».
Il comitato scientifico ha presentato 68 rilievi al progetto che riguardano fra l’altro il rischio sismico, ambientale e legato al vento…
«Il comitato ha approvato il progetto all’unanimità, le verifiche richieste riguardano la fase esecutiva e saranno svolte in quella sede. In democrazia si può discutere tutto, anzi si deve, ma in Italia ogni infrastruttura diventa oggetto di infinite battaglie politiche. Ben venga il dibattito sulla selezione delle opere. Una volta presa la decisione, però, la matematica, la scienza dei materiali e l’ingegneria vanno lasciate agli esperti che lo fanno per mestiere».
Significa che il progetto non ha bisogno di modifiche?
«Al progetto hanno lavorato i migliori ingegneri e noi abbiamo già costruito ponti per 1020 chilometri nel mondo. Il Ponte sullo Stretto può diventare un simbolo del saper fare italiano che noi stiamo già esportando in tanti Paesi. Dall’estero provengono due terzi dei nostri ricavi e oltre la metà degli ordini acquisiti».
Dove vi aspettate la maggior crescita?
«Le infrastrutture sono in cima all’agenda di tutti i governi: la pipeline commerciale di breve termine del gruppo ammonta a 76,8 miliardi e nei primi mesi dell’anno abbiamo già acquisito nuovi ordini per 4,9 miliardi, fra cui la commessa per la diga dell’avveniristica città di Neom in Arabia Saudita. Il Medioriente sta investendo molto in infrastrutture, creando da zero nuove città e puntando forte sulla transizione energetica. Anche da Canada, Stati Uniti e Australia ci aspettiamo grandi soddisfazioni».
Pensate di aggiornare il vostro piano industriale alla luce dei risultati del 2023?
«Alla fine di quest’anno raggiungeremo gli obiettivi al 2025, in anticipo quindi di 12 mesi. Stiamo già pensando a un nuovo piano».
Con quali obiettivi?
«Sono in fase di valutazione, ma abbiamo già fissato due pilastri. Il primo è l’accelerazione sull’internalizzazione della produzione di alcuni materiali e macchinari da costruzione che oggi compriamo da fornitori esterni: più “make” e meno “buy”. La seconda priorità sarà far emergere il valore delle attività che oggi sono nel nostro bilancio ma non riflesse adeguatamente nella nostra valutazione di Borsa: mi riferisco, per esempio, alle controllate in Australia e in Nordamerica».