(di Tiziano Rapanà) Ecco il gesto, l’azione rifondatrice di un contesto. In barba a ogni protocollo, arriva il ghiribizzo, il colpo di genio. Fulvio Abbate si autocandida al Premio Strega con il suo Lo Stemma. Come ha spiegato lo scrittore all’Ansa: “Ritengo in quanto Amico della domenica che il romanzo possa prendere parte all’edizione del 2024”. Cos’è Lo Stemma? È un grido contro l’irrigidimento della trama, che riduce la letteratura a narrativa da banco (a farmaco sintomatico che solleva l’individuo dal dramma del vivere ma non lo induce a riflettere sull’orrore che lo circonda). Fulvio Abbate non ne vuole sapere di regolarsi e disciplinarsi secondo norma. Menomale, almeno lui libera il lettore dall’incubo dell’intreccio. Il suo romanzo è un libro maestoso che vuole spazzare via, a colpi di katana, il mostro della mediocrità. Un breve accenno alla storia, che è piccola cosa rispetto al monumento architettonico costruito sulla parola. Costanza Redondo di Cosseria è la signora del racconto. Lei è l’immagine della nobiltà decadente che vivacchia nelle sue piccinerie quotidiane. Un giorno, l’osceno bussa alla sua porta: è un fantasma che si materializza con inspiegabili messaggi dai contenuti irriferibili, che spuntano sui muri di Palermo. La moralità, sui comportamenti nel battagliare da letto, della signora sembra compromessa. Costanza vuole capirci di più e scoprire il mandante della sozzura. Non sarà sola. Giunto a questo punto, mi chiedo: Fulvio Abbate vincerà il Premio Strega? È presto per dirlo, ma il suo gesto si ricorderà nel tempo.