Vi segnaliamo la lettura del testo dell’audizione al Senato della presidente dell’ANIA, Maria Bianca Farina, in merito all'”Indagine conoscitiva sulle forme integrative di previdenza e di assistenza sanitaria nel quadro dell’efficacia complessiva dei sistemi di welfare e di tutela della salute”. In chiusura una piccola appendice di ANIA sul tema in questione.
(di Maria Bianca Farina) Signor Presidente, Onorevoli Senatori,
desideriamo innanzitutto ringraziarVi per aver convocato l’Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici al fine di raccogliere contributi utili all’indagine conoscitiva svolta dalla Commissione sulle forme di previdenza complementare e di sanità integrativa, nell’ottica della verifica dell’efficacia complessiva dei sistemi nazionali di welfare e di tutela della salute.
La crisi pandemica e, successivamente, le incertezze geopolitiche generate dai conflitti in Ucraina e in Medio Oriente hanno fatto emergere da parte dei cittadini una rafforzata domanda di sicurezza sociale, nella direzione di un ampliamento della copertura delle famiglie più vulnerabili e di un aumento dell’adeguatezza delle prestazioni di base dei sistemi universalistici.
In altri termini, è possibile che ai sistemi di welfare pubblici sia richiesto di aumentare la loro funzione di redistribuzione delle risorse disponibili, al fine di ridurre le disuguaglianze di reddito, ricchezza e opportunità. Mantenendo inalterate le attuali prestazioni, ciò richiederebbe più risorse pubbliche che, però, solo in misura limitata potranno venire da tassazione addizionale, poiché il livello della stessa è già molto alto, in un contesto di già elevato debito pubblico.
Il tema del finanziamento di prestazioni aggiuntive di welfare può essere più efficientemente affrontato nell’ambito di una più stretta integrazione tra sicurezza sociale garantita dallo Stato e forme di previdenza e assistenza promosse da soggetti privati, come le assicurazioni.
Il sistema assicurativo privato – che non può svolgere la funzione di redistribuzione ma è molto efficace a gestire la mutualizzazione dei rischi e il rafforzamento della prevenzione – può offrire un contributo decisivo per trovare un equilibrio più equo ed efficiente di protezione delle comunità e degli individui, in particolare nei comparti del welfare che già sono caratterizzati da una stretta correlazione tra contribuzione e retribuzione.
Occorre un modello di welfare innovativo, che coniughi al meglio le risorse pubbliche e private, con un ruolo più definito della componente integrativa, la quale, basandosi su principi di mutualità, può garantire maggiore equità e livelli di tutela più generalizzati rispetto alla situazione attuale, in cui in ambito sanitario le famiglie che vengono a trovarsi in condizioni di bisogno devono sostenere direttamente l’intero finanziamento delle spese quando le prestazioni pubbliche sono insufficienti o non sono erogate nei tempi necessari.
Il settore assicurativo è pienamente consapevole delle esigenze della collettività, operando quotidianamente, in qualità di principale promotore di forme di welfare integrativo, in ambito sia previdenziale sia sanitario e assistenziale, ed è per questo disponibile a sviluppare in sinergia con il sistema pubblico aree strategiche come il risparmio previdenziale e la tutela sanitaria, al fine di migliorare la protezione sociale dei cittadini e determinare ritorni positivi per l’economia del Paese.
A tal fine, riteniamo inderogabile, in Italia, il completamento e ammodernamento di un sistema di welfare pubblico-privato, in linea con le scelte già compiute in altri Paesi avanzati, in modo da affrontare per tempo, con strumenti adeguati, le sfide della sostenibilità finanziaria, dell’adeguatezza delle prestazioni da garantire ai cittadini e dell’invecchiamento della popolazione.
In particolare, in ambito previdenziale, a fronte di un quadro normativo e di un mercato delle forme pensionistiche complementari già consolidati, occorrono azioni mirate e incisive volte a promuovere e rivitalizzare le adesioni, anche per orientare il risparmio finanziario delle famiglie, che resta considerevole, in un’ottica di lungo termine. Abbiamo compreso che i lavori si sono indirizzati prioritariamente sul tema della sanità integrativa. Per questo alleghiamo in Appendice le nostre considerazioni e proposte sul tema della previdenza integrativa, che sono il frutto di un lavoro di ricerca e studio svolto da un gruppo di lavoro composta da accademici, esperti della materia, ed esponenti dell’industria assicurativa.
Nel settore sanitario e assistenziale, invece, bisogna creare ex novo condizioni – oggi mancanti – che consentano alle forme sanitarie e assistenziali integrative uno sviluppo ordinato, regolato e in sinergia con il sistema pubblico. Mi concentrerò sul tema della sanità integrativa, anche perché dopo la pandemia stiamo osservando un forte aumento della domanda di servizi nel settore e, le indagini demoscopiche lo confermano, i rischi per la salute siano considerati una delle maggiori preoccupazioni dei cittadini.
Il sistema di protezione sociale di tutti i Paesi è stato, infatti, mobilitato per rispondere alla crisi pandemica, per proteggere la salute. Gli investimenti nel settore della sanità sono stati massicci. A livello di Paesi OCSE, il rapporto medio tra la spesa sanitaria e il PIL era pari alll’8,8% nel 2019, ha raggiunto un picco del 9,7% durante il culmine della pandemia nel 2021, per poi scendere al 9,2% nel 2022. Il fatto anomalo, ma emblematico, è che, nonostante la spesa sanitaria sia in media rimasta superiore a quella del periodo pre-pandemia, è sempre più diffusa la sensazione – in Italia più forte che altrove – che il sistema sanitario non sia in grado di rispondere alle aspettative della popolazione: il caso tipico è quello dell’aumento delle liste di attesa. Si tratta, dunque, di una situazione che attesta l’esistenza di un gap fra domanda e offerta di servizi sanitari che, anche nella prospettiva di una popolazione che invecchia, è destinato ad ampliarsi.
Soddisfare bisogni in crescita richiederebbe più risorse pubbliche. Il PNRR ha destinato risorse significative alla “Missione Salute” per sostenere importanti riforme e investimenti a beneficio del Sistema Sanitario Nazionale. Gli investimenti prevedono di ridisegnare la rete di assistenza sanitaria territoriale, di rinnovare il parco tecnologico ospedaliero, digitalizzare il SSN, investire in ricerca e formazione del personale sanitario. Si tratta di obiettivi certamente condivisibili e di un’occasione da non sprecare, a fronte dell’ineludibile necessità di rendere il sistema sanitario più resiliente.
Siamo però convinti che tale sfida debba essere affrontata anche attraverso una più stretta integrazione tra sicurezza sociale e assicurazione privata.
Il sistema sanitario italiano è un impianto complesso, fondato sulla centralità pubblica e su principi di universalità, articolato su diversi livelli di responsabilità e di governo tra Stato e regioni, con un’accentuata differenziazione territoriale, anche in termini di qualità ed efficienza delle prestazioni.
L’assetto complessivo presenta aspetti positivi, ma anche gap da colmare e sfide ineludibili, come la prospettiva di far fronte a dinamiche di forte incremento dei bisogni sanitari e assistenziali causati dall’invecchiamento della popolazione.
Gli operatori privati e le forme sanitarie integrative rivestono una funzione importante – essendo stimati in più di dieci milioni i cittadini che trovano copertura in fondi e casse sanitarie, società di mutuo soccorso, polizze assicurative – ma ancora relativamente poco sviluppata. La spesa sanitaria privata sostenuta dalle famiglie, in aggiunta alle imposte che finanziano il servizio pubblico, è elevata e superiore ai 41,5 miliardi, di cui 4,7 miliardi intermediata da fondi sanitari e assicurazioni.
Eppure, la sanità integrativa accompagna la vita del Paese fin quasi dalla sua costituzione, quando nel 1886 furono regolamentate le prime società operaie di mutuo soccorso che fornivano un’assistenza ai lavoratori.
Si sono poi sviluppate altre forme sanitarie nate da accordi collettivi, di norma a livello aziendale, che hanno una rilevanza sociale, meritevole di tutela e di incentivazione, perché consentono a molti cittadini e ai loro nuclei familiari di trovare una risposta di protezione sanitaria per accedere a prestazioni non ricomprese nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) o, se ricomprese, non offerte di fatto dal servizio pubblico per vari motivi, tra cui l’attesa eccessiva.
Sono nati fondi “doc” e non “doc”, casse sanitarie e assistenziali, nuove società di mutuo soccorso, coperture sanitarie offerte dalle compagnie di assicurazione. Non tutte le forme e le tipologie di lavoratori godono del medesimo regime fiscale; il numero di italiani che usufruiscono a vario titolo di una forma di assistenza integrativa è elevato, ma si tratta di cifre stimate con una certa approssimazione, così come non è noto il numero di fondi sanitari iscritti all‘Anagrafe tenuta dal Ministero della Salute, strumento che comunque non configura un sistema autorizzatorio né implica una vigilanza sui fondi sanitari integrativi che vi sono iscritti.
L’attenzione che deve essere prestata a un ambito così importante come quello della salute rende necessario intervenire, a tutela degli assistiti, con un disegno ordinato di regole su trasparenza, governance, requisiti patrimoniali, di onorabilità e professionalità, tenuta dei bilanci, distribuzione delle coperture e vigilanza delle forme sanitarie integrative.
Occorre, in altre parole, un riordino dei fondi sanitari per definire un secondo pilastro regolamentato che attribuisca a tali forme il compito di mutualizzare i costi da sostenere ed evitare così di lasciare le famiglie sole di fronte alla decisione di sostenere direttamente, se possibile, la spesa che si è resa necessaria oppure, in caso contrario, rinunciare alle cure.
Ne deriverebbe un ruolo più definito attribuito alle forme sanitarie integrative, con l’obiettivo di orientare una quota significativa della spesa diretta delle famiglie verso la mutualizzazione del rischio, per allargare la protezione e rendere i servizi prestati più economici.
In concreto, come per la previdenza complementare, va previsto un “testo unico” di legge e definito un “campo di gioco” uniforme nel quale le forme integrative possano operare, superando le attuali disparità e garantendo equità di trattamento degli assistiti, grazie a regole comuni sulla trasparenza e l’affidabilità delle diverse forme – fondi e piani sanitari di tipo assicurativo, forme negoziali e aperte, collettive e individuali – caratterizzate dalla finalità comune di integrare le prestazioni pubbliche in un ambito di massimo rilievo quale quello sanitario-assistenziale.
Inoltre, per potenziare il pilastro integrativo occorrerebbe, in particolare:
- armonizzare il trattamento fiscale tra le forme integrative e per tutti i lavoratori, introducendo misure di miglior favore quando si tratti della protezione di fasce più deboli;
- abilitare e incentivare l’offerta di polizze assicurative poliennali, in particolare quando includessero coperture di spese sostenute per la prevenzione;
- favorire l’erogazione di prestazioni private negli ospedali pubblici, anche in convenzionamento con le forme sanitarie integrative.
Il ruolo della sanità integrativa potrebbe evolvere così da una logica basata sul rimborso della prestazione a una presa in carico degli assistiti lungo l’intero percorso della salute, anche grazie allo sviluppo della telemedicina. Una presa in carico che, supportata dallo sviluppo di servizi come il tele-monitoraggio, che migliorano l’aderenza terapeutica, consentirebbe l’ampliamento della platea assicurabile, così da permettere alle imprese assicurative di includere nelle coperture la categoria dei soggetti cronici e stabilizzati, tradizionalmente esclusi dalle stesse.
Naturalmente, l’indispensabile e non più procrastinabile riforma strutturale dell’impianto normativo del secondo pilastro della sanità dovrà accompagnarsi con un accurato disegno di come rendere più efficiente la spesa sanitaria complessiva degli italiani. Ci sono margini per meglio definire gli ambiti di intervento prioritari della sanità integrativa: pensiamo, innanzitutto, alla prevenzione, all’intramoenia e alla spesa pagata dai solventi, a una modulazione dell’offerta pubblica degli accertamenti diagnostici. Questo lavoro dovrà necessariamente tenere conto dei livelli di reddito e, soprattutto, delle condizioni di salute e cronicità dei pazienti.
Per una popolazione che invecchia come quella italiana, non si può però affrontare il tema della sanità integrativa senza intervenire sul tema della
non autosufficienza. Questa Commissione se ne è occupata in sede di Legge delega e tornerà ad occuparsene in futuro. Per questo, nell’appendice B; troverete le nostre riflessioni in materia e, ovviamente, siamo a disposizione per ogni vostra richiesta di approfondimento.
* * *
Signor Presidente, Onorevoli Senatori, Vi ringraziamo per averci consentito di formulare le nostre osservazioni.
Le imprese di assicurazione ritengono che l’ammodernamento dei sistemi di welfare sia un obiettivo strategico per il nostro Paese. A tal fine, abbiamo ritenuto opportuno formulare alcune proposte, la cui attuazione, a nostro parere, renderebbe il nostro sistema di welfare più efficiente, più trasparente e più equo, oltre che sostenibile nel lungo periodo.
Auspicando che esse possano trovare considerazione nelle conclusioni della vostra indagine conoscitiva e in eventuali proposte legislative che dovessero essere sviluppate, siamo sin d’ora a Vostra disposizione, qualora ritenuto da Voi opportuno, per approfondirne i dettagli.
Vi ringraziamo per l’attenzione e auguriamo buon lavoro.
APPENDICE
A. Osservazioni e proposte per la crescita del risparmio previdenziale
Quello della previdenza integrativa è un tema primario tra le politiche pubbliche ed è centrale anche per le prospettive del Paese: il risparmio previdenziale è, in effetti, uno strumento importante di investimento nel presente, necessario per costruire un futuro solido e sostenibile.
L’attenzione a livello politico è rivolta in prevalenza, al momento, agli aggiustamenti da apportare al sistema pensionistico pubblico, in particolare alla ricerca di una soluzione permanente alla determinazione dei requisiti per accedere alla pensione rispetto alle misure temporanee adottate negli ultimi anni e basate sulle “quote”.
Siamo convinti, al riguardo, che le linee guida di un’eventuale riforma della previdenza obbligatoria debbano essere quelle di concedere la massima flessibilità possibile ai lavoratori, a condizione che sia mantenuta l’equivalenza attuariale delle prestazioni: andare un po’ prima in pensione dev’essere reso possibile nella misura in cui ciò sia associato a un’equa misura dell’assegno pensionistico, ridotto a fronte della maggiore durata attesa della sua erogazione.
Una tale flessibilità renderebbe ancora più rilevante, d’altra parte, porre attenzione all’adeguatezza delle prestazioni: le più recenti previsioni formulate dalla Ragioneria Generale dello Stato indicano un tasso di sostituzione lordo della previdenza obbligatoria – nell’ipotesi base e con i requisiti minimi, ma ipotizzando una carriera lavorativa senza interruzioni – destinato a scendere dal 71,7% nel 2020 al 58,4% nel 2050 per i dipendenti del settore privato, e dal 54,9% al 46,7% per i lavoratori autonomi.
Alla luce di questi dati, assumendo come improbabile un’inversione di tendenza finanziata dallo Stato, l’unica alternativa percorribile è la diffusa adesione dei lavoratori alle forme previdenziali e l’accantonamento, per il tramite delle stesse, di volumi di risparmio idonei a ottenere integrazioni di pensione che sostengano dignitosamente le esigenze economiche dei lavoratori una volta in quiescenza.
Invece, lo sviluppo della previdenza complementare è ancora largamente inferiore alle attese e alle necessità: le forme previdenziali integrative in Italia rappresentavano alla fine del 2022 meno del 10% del PIL, a fronte di una quota maggiore del 100% nel Regno Unito e di più del 200% nei Paesi Bassi. Le risorse destinate alle prestazioni delle forme pensionistiche integrative erano di poco superiori ai 200 miliardi, appena il 4% del risparmio finanziario posseduto dalle famiglie.
Gli iscritti erano 9,2 milioni, ma più di un quarto non hanno versato contributi nel 2022, mentre gli aderenti versanti hanno conferito alle forme previdenziali poco più di 18 miliardi, corrispondenti in media a 2.860 euro pro-capite.
La fascia di età che conta meno aderenti è quella dei giovani (risulta iscritto meno di un quinto dei lavoratori con meno di 35 anni), le donne rappresentano solo il 38% circa del totale, i tassi di adesione al Sud e tra i lavoratori autonomi sono decisamente inferiori alla media.
Considerando gli iscritti a forme pensionistiche istituite dalle imprese di assicurazione e le risorse gestite dal nostro settore per conto di altre forme o per erogare pensioni complementari, si può attestare che le imprese di assicurazione siano oggi il principale interlocutore al quale i cittadini e le aziende si rivolgono per integrare le prestazioni previdenziali del sistema pubblico. Certamente l’industria assicurativa è consapevole della necessità di rendere sempre più attrattiva l’offerta dei prodotti e, soprattutto, di intensificare l’attività di collocamento, anche trovando nuove forme di collaborazione con i datori di lavoro per incrementare la partecipazione dei lavoratori delle PMI.
È necessario comunque uno sforzo collettivo, di tutte le parti interessate, verso il comune obiettivo di accrescere le adesioni alle forme pensionistiche complementari, anche attraverso l’agevolazione del trasferimento delle attività finanziarie non finalizzate in possesso delle famiglie.
A tal fine, occorre innanzitutto aumentare – attraverso campagne di sensibilizzazione o grazie ai soggetti preposti alla raccolta delle adesioni – la consapevolezza dei cittadini sui vantaggi connessi all’adesione, quali:
- fiscalità di favore riconosciuta all’investimento previdenziale;
- condizioni di flessibilità, liquidabilità della posizione previdenziale e incentivazione fiscale maggiori di quelle previste per il TFR lasciato in azienda;
- performance finanziarie di lungo periodo, in media premianti rispetto agli impieghi di breve termine;
- pluralità dell’offerta, caratterizzata da costi di norma più contenuti rispetto ai comuni prodotti finanziari o assicurativi;
- diversificazione dell’investimento rispetto al sistema previdenziale di base.
Andrebbero anche vinte le motivazioni alla base della mancata adesione di coloro che, pur essendo consapevoli della convenienza e dell’opportunità di aderire, non hanno fiducia in un sistema talvolta complesso e articolato, istituendo un “Portale delle Pensioni” integrato, nel quale tutti i lavoratori possano acquisire consapevolezza su quanto maturato nel sistema, accedendo al quadro completo di tutte le componenti previdenziali, pubbliche e private, anche se frammentate tra enti diversi, in modo da stimare i tempi e i livelli della pensione complessiva e decidere così se aderire o quanto versare a una forma previdenziale.
Sono sempre di più i Paesi europei, infatti, che hanno costituito, di comune accordo tra enti di previdenza pubblica e privata, imprese di assicurazione in primis, un portale con le suddette caratteristiche, aperto a tutti. Un simile strumento sarebbe estremamente utile anche in Italia: in un sondaggio da noi promosso qualche anno fa risultò che chi – attraverso la prima somministrazione delle “busta arancione” da parte dell’INPS – aveva una migliore cognizione della pensione futura, si era attivato più dei non informati per iscriversi a forme di previdenza e provvedere per tempo a costituirsi una “pensione di scorta”.
L’opera informativa non dovrebbe trascurare i datori di lavoro, con riferimento alle misure compensative previste dalla legge a fronte della “perdita del TFR” dei lavoratori che aderiscono alla previdenza complementare.
In più, sarebbe senz’altro opportuno semplificare le norme fiscali sui fondi pensione e ripensare la tassazione sui rendimenti. L’attuale disciplina fiscale è basata, com’è noto, su un sistema di tipo “ETT” (deducibilità dei versamenti, tassazione dei rendimenti finanziari in fase di accumulo e tassazione delle prestazioni al momento del pensionamento), a differenza di molti altri Paesi che prevedono un sistema “EET” in cui i rendimenti finanziari durante la fase di accumulo sono esenti da tassazione. Anche in Italia sarebbe utile passare a tale configurazione che, differendo la tassazione, potrebbe ulteriormente stimolare le adesioni. L’eliminazione costituirebbe un incentivo naturale per i giovani ad aderire il prima possibile, dal momento che, in media, la quota relativa ai rendimenti è correlata alla durata della partecipazione. Tra l’altro, la tassazione differita al momento dell’erogazione della prestazione garantirebbe allo Stato entrate fiscali proprio quando si materializzano le uscite per la pensione pubblica. In subordine, si potrebbe prevedere un vantaggio fiscale esplicito per i giovani fino a 35 anni, eliminando la tassazione sui rendimenti delle loro posizioni previdenziali.
Lo stesso limite di deducibilità fiscale dei contributi destinati alla previdenza complementare risale a prima dell’ingresso nell’euro e dovrebbe essere indicizzato o aggiornato, specialmente in caso di aderenti che intendano iscrivere propri familiari o in caso di trasferimento intergenerazionale del risparmio a favore delle pensioni complementari dei figli o dei nipoti.
Altre misure meritevoli di considerazione per rilanciare le iscrizioni e la funzione della previdenza complementare sono quelle di aprire i fondi pensione a qualsiasi categoria professionale, garantendo la piena mobilità delle posizioni individuali, promuovere un nuovo semestre di “silenzio assenso”, concedendo alle PMI che lo richiedessero un credito agevolato per compensare la perdita del TFR come fonte di finanziamento, implementare iniziative mirate sui segmenti di potenziali aderenti meno coperti, migliorare l’attrattività delle rendite integrative favorendo ulteriormente la loro adozione.
Si tratta di misure che avrebbero un impatto limitato sui conti pubblici, ma consentirebbero ai lavoratori di aumentare, con consapevolezza, il proprio risparmio previdenziale, riducendo le possibili vulnerabilità in età anziana e rafforzando le potenzialità di finanziamento di lungo termine dell’economia reale.
B. La gestione della non autosufficienza.
L’invecchiamento della popolazione è destinato, come detto, a far crescere in modo esponenziale i bisogni di assistenza per le persone non autosufficienti, tenendo conto che:
- il numero di anziani non autosufficienti è destinato ad aumentare notevolmente nei prossimi decenni;
- il 50% degli anziani non autosufficienti già oggi non è raggiunto dall’assistenza pubblica e, per buona parte di coloro che ricevono prestazioni pubbliche, queste non sono sufficienti a sostenere le spese per le cure e l’assistenza di lungo termine;
- la spesa che le famiglie con persone che hanno perso l’autonomia devono sostenere direttamente “di tasca propria” è già oggi elevata – secondo alcune stime superiore anch’essa, come quella per le spese sanitarie in senso stretto, ai 30 miliardi – ed è destinata ad aumentare con l’incremento dell’incidenza di anziani non autosufficienti;
- gli strumenti e i servizi pubblici sono frammentati e l’articolazione delle prestazioni tra sistema centrale, regioni e comuni spesso non è coordinata, essendovi una notevole disomogeneità nei processi di valutazione dei bisogni e nei requisiti per accedere alle prestazioni, anche da regione a regione.
Lo scostamento fra prestazioni garantite dal sistema pubblico e risorse che sarebbero necessarie per soddisfare i bisogni è destinato ad ampliarsi ulteriormente nei prossimi anni, ed è probabile che – tenuto conto dei vincoli di finanza pubblica – gran parte del conseguente, maggiore onere economico, in assenza di riforme strutturali, sia destinato a ricadere sulle famiglie. È doveroso individuare per tempo soluzioni per soddisfare questi bisogni crescenti.
Abbiamo inviato a questa Commissione i nostri commenti al disegno di legge Delega al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane.
Particolarmente significativi per affrontare il tema economico saranno i decreti legislativi da emanare ai sensi dell’articolo 4, comma 1 e ai sensi dell’art. 5, comma 1, finalizzati, rispettivamente: i) “a riordinare, semplificare, coordinare e rendere più efficaci le attività di assistenza sociale, sanitaria e sociosanitaria per le persone anziane non autosufficienti, anche attraverso il coordinamento e il riordino delle risorse disponibili”; ii) “ad assicurare la sostenibilità economica e la flessibilità dei servizi di cura e assistenza a lungo termine per le persone anziane e per le persone anziane non autosufficienti”.
Nella valutazione dell’ANIA è perciò fondamentale arrivare a scelte decise e lungimiranti, anche svolgendo un’ampia riflessione sul come ottimizzare la già ingente spesa privata per rafforzare la copertura delle maggiori esigenze delle persone non autosufficienti attraverso una componente complementare.
Propedeutico a ciò è arrivare alla standardizzazione della nozione di non autosufficienza, alla promozione di un’offerta di servizi basati su principi fondamentali, come l’unitarietà dell’accesso e della valutazione del bisogno o l’erogazione in natura dei servizi assistenziali, opportuni incentivi per i contributi dei lavoratori e delle aziende all’interno di un quadro normativo che definisca unitariamente compiti e finalità delle forme integrative.
Per dare concretezza a una via italiana per la copertura dei bisogni derivanti dalla perdita di autonomia, con l’obiettivo di combinare al meglio le risorse pubbliche e private, si prospettano più alternative. Le abbiamo analizzate in un gruppo di lavoro composto da accademici ed esperti del settore e mettiamo a vostra disposizione i risultati dello studio.
In estrema sintesi, si prospettano due possibili strade, non necessariamente mutuamente esclusive.
- La prima è quella di modellare – in coerenza con l’attuale impianto di previdenza complementare – un sistema integrativo sulla protezione della non autosufficienza, ovviamente assicurando trasparenza e indipendenza contabile alle forme integrative, sfruttando eventualmente le sinergie operative ed economiche con i fondi pensione. Il sistema sarebbe definito da norme sui criteri di finanziamento e sulle tipologie di prestazioni e dei servizi, inclusi i criteri di eleggibilità per accedervi, ma l’adesione alle diverse forme integrative di assistenza di lungo termine, collettive e individuali, sarebbe volontaria e incentivata: come nella previdenza complementare, la definizione di contributi e prestazioni sarebbe stabilita dall’accordo bilaterale collettivo tra datori di lavoro e sindacati, mentre per gli altri lavoratori le adesioni potrebbero essere gestite nell’ambito di fondi aperti o piani individuali.
Le modalità potranno assumere diverse configurazioni: ad esempio prevedendo, da un lato, un meccanismo integrato di incentivi fiscali che incoraggi la partecipazione – soprattutto per i giovani – e, dall’altro, evitando un aggravamento del costo del lavoro per le aziende, in particolare le piccole e medie, attraverso la defiscalizzazione dei contributi datoriali.
Il sistema avrebbe il vantaggio di poter contare su un impianto normativo, quello della previdenza complementare, già consolidato e sostanzialmente condiviso, consentendo l’avvio di un processo graduale e la costituzione nel tempo delle riserve necessarie per erogare prestazioni integrative per l’assistenza di lungo termine. Alcuni settori, come il nostro comparto assicurativo, hanno già uno schema di questo tipo.
D’altra parte, la crescita delle adesioni potrebbe essere lenta, o comunque in linea con i livelli di adesione non ancora così diffusa registrati dalla previdenza complementare, e sarebbe quindi necessario un lungo periodo di transizione prima che una quota rilevante di popolazione di età anziana sia effettivamente coperta.
- Per questi motivi, si potrebbe ipotizzare un modello, più simile a quello da qualche anno in vigore in Germania, in cui l’adesione al sistema di protezione long-term care (LTC) è obbligatoria e viene costituito un Fondo nazionale, con una governance pubblica-privata, che determinerebbe su scala generale modalità di contribuzione (in percentuale delle retribuzioni) e differenti livelli di prestazioni, in funzione della gravità della non autosufficienza.
Inoltre, il Fondo potrebbe offrire riassicurazione ai fondi integrativi di categoria già esistenti, garantendo una maggiore diversificazione dei rischi e la possibilità di livelli differenziati di copertura.
Questa seconda proposta avrebbe il vantaggio, grazie all’obbligatorietà, di raggiungere rapidamente una massa critica di adesioni.
Diventando operativo sull’intera collettività, il Fondo sarebbe però caratterizzato da immediati impegni di elevato ammontare in termini di riserve e prestazioni assicurate. Per questo sarebbe necessario catalizzare progressivamente gli attuali aiuti monetari e servizi offerti per la LTC che hanno, ad eccezione dell’indennità di accompagnamento, definizioni eterogenee di prestazioni e condizioni di accesso e sono gestiti da una articolazione di istituzioni nazionali e locali.