(di Tiziano Rapanà) Si deve rifiutare l’idea che la povertà sia una cosa buona e giusta. La povertà è orrenda e guai a glorificarla. Beati i poveri? E perché mai? Per consolarli del loro grado di sottomessi in società? No, dovremmo augurarci di diventare tutti ricchi o quantomeno benestanti. La povertà è un male che non si dovrebbe augurare a nessuno. Tutti noi dovremmo immergerci nel mare cristallino del consumismo. Quelle acque – così chiare, fresche e dolci – sono ambite soprattutto a Natale ove si spende e si spande per fare regali a parenti ed amici. Abbasso la temperanza e tutte le vie che portano alla stringatezza. La sobrietà è un freno a mano alla naturale volontà di soddisfare un desiderio. La vita è fatta di bisogni indotti, l’uomo non può vivere di solo letto e cibo. Il superfluo è bello, rende la vita più degna di essere vissuta. Il divertimento è sacro. Il bello del Natale è questo: la benedetta festa comandata ci ricorda il bello del consumare che esplode nella gioia procurata dallo scarto di un regalo, dall’albero adornato, dal trionfo di panettoni e pandori e dalla costruzione del femminino che si impossessa della donna che vuole apparire la più bella della festa. L’uomo è fatto per progredire spiritualmente ed economicamente. Un miliardario può riflettere sul perché dell’esistenza, un senzatetto è costretto a impiegare le sue energie per trovare cibo e un posto caldo per riposare. La povertà crea dannazione. I soldi possono portare allo sviluppo intellettuale dell’individuo. Eppoi sono fondamentali per dire di no alle proposte lavorative ignominiose e per essere totalmente liberi. La sobrietà spezza il sogno dell’opulenza, che dev’essere un diritto di tutti. Tutti noi dobbiamo aspirare alla bellezza di una vita accarezzata dalla gioia della fastosità.