A sette anni di distanza dalla diagnosi di melanoma con metastasi cerebrali silenti, una delle forme tumorali più difficili da trattare, è vivo il 43% dei pazienti. A dimostrarlo, confermando la combinazione quale miglior strategia di cura in questi pazienti, è l’aggiornamento dei dati del trial clinico NIBIT-M2 realizzato dal Centro Immunoncologia dell’Aou Senese, diretto da Michele Maio, professore ordinario di Oncologia dell’Università di Siena, con la Fondazione NIBIT, presieduta dallo stesso Maio. Un risultato straordinario, se confrontato con circa il 10% relativo alle terapie standard, presentato oggi a Madrid da Anna Maria Di Giacomo in occasione del congresso dell’European Society of Medical Oncology (ESMO). Il melanoma metastatico è stato il primo tumore che ha beneficiato dell’avvento dell’immunoterapia. Se in passato la sopravvivenza media a 5 anni dalla diagnosi era del 5% con la sola chemioterapia, oggi grazie alla combinazione di più farmaci immunoterapici la percentuale ad oltre 7 anni dalla diagnosi è prossima al 50%.“Circa il 40% delle persone con melanoma metastatico – spiega la Di Giacomo – sviluppa metastasi a livello del sistema nervoso centrale, caratteristica che si associa ad una ridotta aspettativa di vita. In questi pazienti l’immunoterapia, a causa del suo meccanismo d’azione, non è mai stata considerata una valida strategia per arrivare a colpire il tumore metastatizzato al cervello”. Nonostante gli ottimi risultati raggiunti dall’immunoterapia, il trattamento delle metastasi cerebrali silenti è rimasto per anni una delle principali sfide nei pazienti con melanoma. L’utilizzo della fotemustina, l’unico farmaco approvato in questi pazienti, non è mai stato in grado di incidere significativamente sul decorso della malattia e sulla sopravvivenza dei pazienti. Lo studio NIBIT-M2 Negli anni però sempre più numerosi studi sul microambiente tumorale hanno lentamente cambiato il paradigma che considerava l’approccio immunoterapico poco utile nel trattamento delle metastasi cerebrali.
“Lo studio – aggiunge Di Giacomo – ha comparato tre differenti strategie: quella standard, attraverso la somministrazione del chemioterapico fotemustina, la combinazione di fotemustina e ipilimumab, e la combinazione di ipilimumab e nivolumab. Dalle analisi, effettuate su 76 pazienti divisi in tre gruppi a partire da gennaio 2013 a settembre 2018, è emerso che la combinazione ipilimumab e nivolumab è stata in grado di migliorare significativamente diversi parametri tra cui, il più importante, la sopravvivenza globale rispetto alle altre due strategie di cura testate”.