Il numero record di Paesi in via di sviluppo a rischio di crisi del debito sarà in cima all’agenda delle riunioni primaverili di questa settimana del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale.
I banchieri centrali, i ministri delle finanze e i leader politici si riuniranno per discutere di aumento dell’inflazione, dei costi dei prestiti e del dollaro forte, elementi che hanno reso molto più costoso il rimborso dei prestiti e la raccolta di denaro per dozzine di Paesi in via di sviluppo. Diverse economie africane stanno affrontando in questo momento una stretta del debito o sono già inadempienti sui prestiti internazionali. Tra queste c’è l’Egitto, che ha un’economia fortemente dipendente dal turismo e che è stata martellata prima dal Covid e poi dall’impennata dei prezzi di cibo ed energia, lasciandola a corto di valuta estera e in affanno sul pagamento dei debiti, in aumento. Il Cairo si è assicurato un nuovo pacchetto da 3 miliardi di dollari dell’Fmi a dicembre, impegnandosi per una maggiore flessibilità valutaria, un ruolo maggiore per il settore privato e una serie di riforme monetarie e fiscali. Le restrizioni sulle importazioni e sulle valute stanno pesando molto sull’attività economica e la carenza di valuta estera continua nonostante tre considerevoli svalutazioni, dal marzo 2022, che hanno dimezzato il valore della sterlina egiziana. L’inflazione è ora al massimo da oltre cinque anni, superiore al 30%. Il Ghana è nella sua peggiore crisi economica in una generazione, con oltre il 40% delle entrate del governo destinate al pagamento del debito. A gennaio, il Ghana è diventato il quarto paese a cercare una rielaborazione nell’ambito del quadro comune. Il Paese dell’Africa occidentale ha ottenuto un accordo da 3 miliardi di dollari con l’Fmi a dicembre ma deve ancora ottenere garanzie di finanziamento da istituti di credito bilaterali per concludere l’approvazione finale. Accra ha già raggiunto un accordo per svalutare il debito interno e, la scorsa settimana, ha avviato trattative formali sul debito con gli obbligazionisti internazionali.
Il Malawi è alle prese con la carenza di valuta estera e un deficit di bilancio di circa 1,32 trilioni di kwacha malawiani (1,30 miliardi di dollari), pari all’8,7% del Pil. La nazione dell’Africa meridionale, sempre pùi dipendente dai donatori internazionali, sta cercando di ristrutturare il proprio debito per ottenere maggiori finanziamenti dall’Fmi, che ha approvato i fondi di emergenza a novembre. L’economia della Tunisia, anch’essa fortemente dipendente dal turismo, è alle prese con una crisi che ha portato a una carenza dei prodotti alimentari di base. Un prestito dell’Fmi da 1,9 miliardi di dollari è bloccato da mesi poiché il presidente tunisino ha mostrato pochi segni di azione sulle riforme chiave. La maggior parte del debito è interno, ma i rimborsi dei prestiti esteri sarebbero dovuti entro la fine dell’anno. Le agenzie di rating del credito hanno affermato che la Tunisia potrebbe andare in default. Lo Zambia invece è stato il primo Paese africano a dichiarare default durante l’era Covid, nel 2020,ed è visto come una cartina di tornasole per l’iniziativa del quadro comune del G20 istituita durante la pandemia per semplificare le ristrutturazioni del debito.
Tuttavia, i colloqui sono stati notevolmente lenti e il debito estero è salito a 18,6 miliardi di dollari. I funzionari occidentali hanno incolpato la Cina, il suo più grande prestatore bilaterale, e ci sono ampi disaccordi su quanto debito il Paese possa permettersi in futuro. Quest’anno la valuta dello Zambia è scesa di oltre il 10% rispetto al dollaro il che, secondo la Banca centrale di Lusaka, sta aumentando l’inflazione, in parte per via di ritardi nella ristrutturazione del debito.