In Italia, a causa della siccità verranno coltivati quasi 8mila ettari di riso in meno per un totale di appena 211mila ettari, ai minimi da trenta anni. E’ quanto afferma la Coldiretti sulla base delle previsioni nel sottolineare che le preoccupazioni per il riso sono rappresentative delle difficoltà in cui si trova l’intera agricoltura nazionale.
“Il riso – sottolinea la Coldiretti – è una coltura che per crescere e garantire l’equilibrio ambientale e faunistico di interi territori ha infatti bisogno di acqua. Il crollo di oltre il 30% la produzione del riso in Italia nell’ultimo anno a causa del meteo pazzo sta spingendo gli agricoltori – precisa la Coldiretti – ad abbandonare le risaie con effetti preoccupanti sull’ecosistema, l’economia e l’occupazione. La perdita del riso non fa altro che aumentare il problema della carenza idrica perché la sua coltivazione garantisce dei veri e propri bacini idrici risultando determinante per l’ambiente ma per tutto l’agroecosistema. Un vero shock con oltre diecimila famiglie tra dipendenti e imprenditori impegnati nell’intera filiera, ma anche per la tutela dell’ambiente e della biodiversità”. Sono 200 infatti – evidenzia la Coldiretti – le varietà iscritte nel registro nazionale, dal vero Carnaroli, con elevati contenuto di amido e consistenza, spesso chiamato “re dei risi”, all’Arborio dai chicchi grandi e perlati che aumentano di volume durante la cottura fino al Vialone Nano, il primo riso ad avere in Europa il riconoscimento come Indicazione Geografica Protetta, passando per il Roma e il Baldo che hanno fatto la storia della risicoltura italiana. Con 1,5 milioni di tonnellate all’anno – continua Coldiretti – l’Italia garantisce il 50% dell’intera produzione di riso della Ue di cui è il primo fornitore, con una gamma di varietà e un livello di qualità uniche al mondo. Gli italiani – precisa Coldiretti – consumano in media fra i 5 e i 6 chili di riso a testa. In Italia con 9 risaie su 10 sono concentrate fra la Lombardia, Veneto e il Piemonte al nord dove è caduto il 40% di pioggia in meno rispetto alla media storica secondo l’analisi Coldiretti su dati Isac Cnr. L’allarme siccità riguarda in realtà tutte le coltivazioni alla vigilia delle semine 2023 con il fiume Po a secco che al Ponte della Becca (Pavia) si trova a -3,3 metri rispetto allo zero idrometrico, con le rive ridotte a spiagge di sabbia come in estate. La situazione del più grande fiume italiano è rappresentativa delle difficoltà in cui si trovano tutti gli altri corsi d’acqua del settentrione con i grandi laghi che hanno percentuali di riempimento che vanno dal 34% del lago di Garda al 38% di quello Maggiore fino ad appena al 21% di quello di Como ma si registra anche lo scarso potenziale idrico stoccato sotto forma di neve nell’arco alpino ed appenninico. La situazione – sottolinea la Coldiretti – è peggiore di quella dello scorso anno quando si è registrato una perdita di almeno 6 miliardi di euro nei raccolti a causa della siccità. Con il Po a secco – precisa la Coldiretti – rischia 1/3 del Made in Italy a tavola che si produce proprio della Pianura Padana dove si concentra anche la metà dell’allevamento nazionale. Dal grano duro per la pasta alla salsa di pomodoro, dai grandi formaggi come Parmigiano reggiano e il Grana Padano ai salumi più prestigiosi come il prosciutto di Parma o il Culatello di Zibello fino alla frutta e alla verdura la produzione della food valley – continua la Coldiretti – rappresenta la punta di diamante del Made in Italy alimentare in Italia e nel mondo. “Di fronte al cambiamento climatico è necessario realizzare un piano invasi per contrastare la siccità ed aumentare la raccolta di acqua piovana oggi ferma ad appena l’11%” sostiene il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel precisare che “insieme ad Anbi e soggetti pubblici e privati abbiamo pronti una serie di interventi immediatamente cantierabili che garantiscono acqua per gli usi civili, per la produzione agricola e per generare energia pulita. Un intervento necessario – continua Prandini – anche per raggiungere l’obiettivo della sovranità alimentare con l’aumento della produzione Made in Italy, la riduzione della dipendenza dall’estero e la fornitura di prodotti alimentari nazionali di alta qualità e al giusto prezzo. L’irrigazione, infatti, può fare – conclude Prandini – la differenza consentendo anche di triplicare le rese in campo”.